Quando credo di aver già intervistato tutti i modi diversi che ci sono di stare per mare, ne trovo sempre uno nuovo che mi spiazza. Cecilia Rovelli è il marinaio di un veliero in Sardegna: vive a bordo, d’estate naviga, d’inverno fa manutenzione. Prima lavorava come assistente medico chirurgo, ora non ha più bisogno di pettinarsi tutte le mattine.
Da dove inizia la tua storia Cecilia?
Il mare fa parte di me fin da quando ero bambina: sono nata in Sardegna, mio papà amava la vela e partecipava attivamente alla vita dei piccoli club velici cagliaritani. Anche se a 18 anni per motivi di lavoro lasciai la Sardegna, sembrava che la provvidenza continuasse a mandare sul mio cammino segnali per farmi restare in contatto con il mare. Mi appassionai di subacquea e divenni istruttore.
Che lavoro facevi?
All’inizio feci la cameriera, poi trovai lavoro a Firenze come assistente medico chirurgo. Lavorai lì per 16 anni e incontrare il mio datore di lavoro fu una vera fortuna: era appassionato di vela e armatore. Nel lavoro c’era un rapporto di fiducia, e per me fu un onore quando mi chiese se volevo aiutarlo, insieme ad altre persone, a preparare la sua barca per una navigazione transoceanica. Non si trattava solo di navigazione, ma di una vera e propria ristrutturazione. Passai un anno e mezzo a lavorarci e a imparare quante più cose possibili.

Non per tutti saper navigare significa anche saper manutenere la barca.
Io l’ho vista subito come un’opportunità per imparare una professione. Alla fine dei lavori navigammo molto nel Mediterraneo: partimmo a fine luglio verso la Corsica, poi Sardegna, Baleari, passammo Gibilterra e arrivammo fino a Las Palmas.
Parlami dell’Oceano.
Per me è stato illuminante. Innanzitutto ero molto soddisfatta di essere capace e utile nella navigazione. Un paio di membri dell’equipaggio erano ko dal mal di mare e i turni furono ridistribuiti tra i tre che stavano bene. Io ero a mio agio, felice della vita di mare, mi sentivo veramente parte di qualcosa. Ma la cosa più importante, per me, fu realizzare che in mare non avevo niente ed ero felice; fu naturale chiedermi cosa ci andavo a fare in città dove avevo tutto eppure ero insoddisfatta. Quando tornai parlai con il mio datore di lavoro e gli chiesi di licenziarmi.

Volevo tornare in Sardegna e cercarmi un lavoro nel mondo della vela. Avevo in tasca la liquidazione di quasi 16 anni di lavoro come paracadute, ma per me era importante continuare a mantenermi da sola, e mi diedi subito da fare. Non mi sento pazza, non ho mai fatto la sprovveduta: ho sempre cercato di muovermi con consapevolezza e coscienza, ho solo scelto una direzione diversa dal quella della maggioranza.
Però hai completamente cambiato settore.
Ho amato il mio vecchio lavoro e sono grata di quello che mi ha insegnato. Mi ha inquadrato moltissimo, mi ha dato metodo e precisione, e questa abilità torna utile anche nei lavori in barca. Faccio tutto, anche partendo da zero e nei minimi dettagli.
Come si ricomincia?
Arrivai a Cagliari dopo 20 anni che ero andata via, non conoscevo nessuno, mi sentivo una straniera in casa. Per farmi conoscere, mi approcciai all’ambiente agonistico. Diventai prodiere di regata e fu importante perché, oltre alle soddisfazioni sportive, mi diede l’opportunità di conoscere molte persone che potevano avere bisogno del mio aiuto per i lavori nelle loro barche. Proprio in quel modo conobbi Mathias Andreas Reiter, armatore e comandante di Ichnusa.

Che cosa fai su Ichnusa?
All’inizio mi imbarcai per la stagione estiva, mentre durante quella invernale avevo la mia casa in affitto fuori Cagliari e andavo al porto per i lavori di manutenzione. Poi, vista la mia passione e precisione nella cura della barca, Mathias mi propose di prendere le certificazioni IMO [Organizzazione Marittima Internazionale], fare i corsi di sopravvivenza e primo soccorso, fino ad avere il libretto ufficiale di imbarco. Ora sono ufficialmente il marinaio di Ichnusa e vivo a bordo. Mi piace la filosofia di questa barca perché si va veramente a vela, anche in crociera. Che ci sia tanto o poco vento noi apriamo le vele. Il comandante ha scelto di navigare riducendo al minimo l’impatto ambientale: il motore è elettrico e si accende solo per le manovre in porto. Con il tempo ha installato l’impianto fotovoltaico, eolico, il dissalatore, le casse delle acque nere, e si fa la raccolta differenziata.
Perché vivere a bordo? Non poteva essere solo un lavoro?
Quando l’armatore mi propose di vivere a bordo per continuare la cantieristica anche in inverno, per me fu un grande segno di apprezzamento. Oltre all’aspetto pratico – risparmiare sull’affitto e sul tragitto – per me significava essere sulla strada giusta: veniva apprezzato non solo il mio lavoro ma anche il mio modo di stare in barca, condividere e gestire gli spazi. Ho portato con me anche il mio cane Floky.

Non senti la mancanza di uno spazio solo tuo?
Quando stavo a Firenze feci un mutuo e comprai casa, quindi qualcosa di mio ce l’ho. Però non è quello che mi dà serenità. Essere senza radici mi fa sentire libera, sono molto più a mio agio senza vincoli. La barca mi ha insegnato a condividere quello che ho e lo preferisco rispetto ad avere uno spazio tutto per me.
Hai in progetto di diventare armatrice?
Sì certo, mi piacerebbe, ma la vedo molto difficile. È un investimento impegnativo, servono soldi non solo per comprarla, ma anche per mantenerla. Voglio prima imparare bene, formarmi e poi, quando avrò la capacità di gestirla totalmente magari farò il grande passo. Vedo che molti armatori hanno bisogno di aiuto anche solo per sbloccare una randa. Non è il modo in cui io voglio vivere l’imbarcazione.


Ci sono ostacoli del tuo percorso legati al fatto di essere donna in un ambiente di solito maschile?
Guadagnare lo spazio per fare esperienza può essere complicato, perché se c’è da tirare su una vela di solito si manda un uomo. Io ho deciso di pormi fin da subito in maniera agonistica, partecipando a regate e chiedendo di fare il prodiere, il ruolo più difficile. Facendo bene quel ruolo ho conquistato la fiducia di chi mi circondava, portando a termine ogni incarico, anche quelli che di solito sono associati alla alla forza fisica di un uomo. Magari faccio una fatica bestiale, ma non lo do a vedere e tiro su le vele con il sorriso. Ho scelto il percorso lungo: ho iniziato da mozzo, ora marinaio e un giorno comandante. Mi sono anche iscritta i corsi serali del nautico e sto prendendo il mio secondo diploma come comandante di coperta. Per me è una cosa seria.

Hai anche una tua pagina Facebook dove racconti il tuo lavoro.
Sì, ho creato la pagina Un Marinaio Lady perchè ci tenevo a far vedere che il mio è un ruolo professionale, non un divertimento. Sappiamo che su internet è facile fare battute, è capitato che tentassero di sminuirmi, ma io non ci do molto peso. Vedo che le persone che mi conoscono – per lavoro o per il mio impegno in progetti sociali – intervengono e rispondono al posto mio. Poi: io sto al molo centrale di Cagliari, se qualcuno ha dei dubbi può passare a controllare e ci beviamo una birretta. Mi dico sempre: bisogna fregarsene di ciò che non ti motiva e continuare a credere in quello che fai, anche perché se aspetti che qualcuno creda in te… ciaone!
La famiglia e gli amici cosa ti dicono?
Quando ho cominciato mio padre mi diceva: avevi un lavoro sicuro a tempo indeterminato, una casa con tutte le comodità e l’hai mollato per fare il marinaio? Poi alla fine mi sostenne e ora è molto fiero di me. Gli amici mi dicono che sono pazza, ma mi conoscono e mi vogliono bene, finché mi vedono sorridere sono sereni.

Questo stile di vita avrà almeno uno svantaggio?
È una vita che porta a fare delle rinunce, ma a lungo termine mi ha portato serenità. Forse la cosa più dura è stata lasciare gli amici di Firenze, che per me erano famiglia. Però non mi vengono in mente cose di cui sento la mancanza. Forse ce ne sono alcune, ma tutte consumistiche. Nella mia vita fiorentina vivevo tra uno smalto semipermanente e una mèche dalla parrucchiera, è una vita che non mi appartiene più. Mi curavo di più, mi vedevo più bellina, ma ho imparato a vedere in me la bellezza anche senza niente. E poi non doversi pettinare i capelli tutti i giorni è un gran vantaggio. Facciamo che se mi viene in mente qualcosa nei prossimi giorni ti richiamo e te lo dico.
Progetti per il futuro?
Vorrei usare la vela e la subacquea per lavorare sul sociale, attivare dei corsi per i diabetici. E poi vorrei portare Ichnusa in giro per il mediterraneo e anche più in là, fino in Oceano.
Tutte le foto di questo articolo sono di Cecilia Rovelli, marinaia su Ichnusa, a cui auguro di navigare presto tutte le sue rotte.