Erica Giopp ha navigato per un anno in barcastop, facendo il giro del mondo da Roma a Bali. Le ho fatto un po’ di domande su come si fa a partire e tornare, perché del viaggio ha già raccontato lei in un libro: Un anno in barcastop – Erica Giopp – AlpineStudio. Io te lo consiglio, soprattutto in questo periodo, perché oltre a far viaggiare con il pensiero ha il grande pregio di far ridere.
Il capitolo dedicato alla traversata atlantica ha fatto eco con quello che stiamo vivendo in questi giorni: confinati in pochi metri, giornate sempre uguali con le stesse persone, il senso di solitudine che si amplifica. La grande attesa senza sapere quando finirà la bonaccia. La traversata ti ha lasciato qualcosa che torna utile ora in quarantena?
Sia io sia i miei compagni di viaggio abbiamo fatto tutti lo stesso pensiero. Quando in questi giorni abbiamo riallacciato i contatti per assicurarci di stare tutti bene e ci siamo detti: se abbiamo superato quella bonaccia, supereremo anche questa. In realtà ammetto che questa è più dura. È vero che in quella situazione eravamo in cinque senza via di fuga, ma almeno non eravamo esposti al bombardamento mediatico di questi giorni. L’informazione – e disinformazione – che ci arriva da fuori crea ansia e la connessione continua ci fa sentire in dovere di raccontarci e giustificarci con l’esterno. Durante la traversata c’è una regola non scritta: quel che succede in barca rimane in barca. Ora il giudizio piove dalle finestre, ci sono cecchini appostati nei terrazzi, spie dietro le tende, videochiamate di persone che non sentivi da anni e che sentono il bisogno di intrufolarsi nella tua quotidianità. È difficile da sostenere.

Nel libro spieghi che ci sono due domande da non farti: perché parti? e – al rientro – ti senti cambiata? Ammetto che sono spesso nella mia lista per le interviste. Ma allora perché raccontare il viaggio in un libro?
Bandire quelle domande mi serviva per sfatare il mito dell’eroe che parte per un giro del mondo o del santone illuminato che fa ritorno in patria. Dopo aver lavato via l’abbronzatura siamo persone normali, con i problemi di tutti. Ho scritto il libro perché è la condivisione che ha dato senso a tutto il viaggio. Il mio giro del mondo non si è concluso quando sono sbarcata, ma quando sono stata in grado di mettere nero su bianco parte di quello che avevo vissuto e raccoglierlo nel libro. Se non lo avessi fatto il mio viaggio sarebbe rimasto a metà perché molte cose non le avrei capite.
Ma se non ti cambia un viaggio del genere allora cosa?
Non ti cambia la vita perché secondo me di base la natura delle persone è difficile da modificare. Quello che però cambia è il punto di vista sul mondo, l’apertura mentale. In un viaggio così incontri di modi di guardare alla vita completamente diversi. Spesso ti scontri con personalità, stili di vita, abitudini, modi di pensare totalmente diversi dai tuoi . Sei costretto a esercitare la tolleranza in minuscoli spazi vitali con persone che non conosci e che se avessi potuto scegliere forse non avresti cercato. E questo cambia il tuo modo di approcciare il mondo e la realtà.

Come ti eri organizzata economicamente per sostenere un viaggio così lungo?
L’anno prima della partenza (2015) era l’anno dell’Expo a Milano. Lavoravo per un tour operator cinese che aveva preso un ufficio lì ed eravamo organizzati per lavorarci e viverci. In pratica non ho mai staccato per un anno e non ho avuto spese, così ho messo da parte dei soldi. I passaggi in barca che ho scelto prevedevano solo la divisione spese della cambusa e poi c’è la vita a terra. Io in un anno ho speso circa 5000 €. Molto dipende da come si gestisce tutto: se ti vuoi godere la vacanza, fare escursioni, prendere voli interni, raggiungere amici nei dintorni o se fai una vita più parsimoniosa cercando anche qualche lavoretto durante i tempi a terra. Si può partire con pochi soldi, poi dipende su che livello vuoi portare l’esperienza.
La tua partenza non era all’insegna del mollo tutto, avevi già pensato al rientro. È andata come pensavi?
All’inizio me la facevo un po’ sotto e consideravo la possibilità di non riuscire a passare nemmeno Gibilterra. Infatti non ho fatto grandi riti di addio; è vero che l’idea era quella del viaggio di un anno, ma non sapevo se davvero avrei resistito oltre il Mediterraneo. Poi in realtà è andata bene e sarebbe potuta andare oltre. Molte persone che ho conosciuto in viaggio hanno deciso di abbracciare questo stile di vita e trasformarlo in un lavoro; io stessa ho avuto diverse occasioni per farlo. Poi, quando stava per scadere l’anno, ho fatto una riflessione su quello che andava bene per me: mi mancava la terra, mi mancava la socialità, c’erano tante cose di cui non volevo fare a meno per sempre. Così sono tornata.

Quando si viaggia in barca il tempo segue altre unità di misura, ma sulla terra continua allo stesso modo. Quanto è stato difficile tornare al ritmo del mondo che avevi lasciato.
Il primo inverno è stato duro e devo dire che anche in questo scrivere mi ha aiutato molto. Ho contattato la ditta dove lavoravo prima e sono tornata in ufficio. Ero convinta che inserirmi in una routine al più presto mi avrebbe aiutato, volevo essere impegnata e avere degli orari. Però ero allucinata dalla quantità di gente in giro, dallo smog, dal modo di parlare delle persone, avere tutte le comodità era un lusso, cambiarmi i vestiti tutti i giorni mi sembrava folle. Riadattarmi al ritmo della città è stato difficile. E anche tornare a gestire le relazioni con le persone.
Ecco, le relazioni. Nel libro scrivi: è più facile per chi parte che per chi resta.
È impossibile spiegare il bisogno di partire; nessuno che non abbia provato può capire. Ci sono persone che decidono di tollerare la partenza e altre che non provano nemmeno a mettersi nei tuoi panni. Io credo che se senti il bisogno di partire sia giusto andare. E quando senti il bisogno di tornare puoi fare ritorno, ma devi sapere che il rientro non fa sconti. Tutto quello che io avevo lasciato in sospeso l’ho trovato tale e quale, se non peggio. Quindi pensare di scappare non funziona, anzi, la distanza fa da lente di ingrandimento o da acceleratore ai problemi. L’unico vantaggio è che al ritorno sei più carico per affrontarli.

C’è qualcosa che ti manca e che ti fa tornare la voglia di imbarcarti di nuovo?
Sono sicura che in futuro rifarò un viaggio così. Mi manca l’estremo contatto con la natura, la solitudine, i tramonti, l’idea di salpare e sentirti libero con la terra alle spalle. Anche vivere in uno spazio piccolo, arrivare in un piccolo porto di un’isola sconosciuta, sedermi al bar e parlare con le persone come se fossero vicini di casa. Nel mio piccolo ho cercato di fare di casa mia una barca: la condivisione tra i membri dell’equipaggio, l’accoglienza verso la gente del mare, i pozzetti aperti per raccontare storie e dare il benvenuto a chi passa. La mia casa è simile, sempre con la porta aperta per accogliere persone di passaggio e ascoltare le loro storie bevendo una birra insieme.

Il rientro nel mondo del lavoro com’è andato?
Io sono tornata nella ditta dove lavoravo prima di partire perché credevo di aver bisogno di darmi in fretta uno stile di vita più simile possibile a quello di tutti gli altri. In realtà nel giro di 3 mesi mi sono resa conto che per me era impossibile tornare a gestire i ritmi della società cinese in cui lavoravo. Quindi ho deciso di andare personalmente in Cina e parlare direttamente con i manager del tour operator per cercare una nuova soluzione. Alla fine ho aperto partita iva e lavoro come freelance: continuo la collaborazione, ma ho anche altri clienti e, soprattutto, ho la possibilità di gestire il mio tempo e i miei ritmi.
Confrontarsi con il turismo cinese significa confrontarsi l’esatto opposto di un viaggio in barca.
Sì, hanno ritmi, stili e aspettative lontanissime dalla lentezza del mare; si muovono al motto di 5 città in 7 giorni. Da quando sono tornata ho cercato di personalizzare il mio modo di lavorare e tento di portare i clienti cinesi a vivere quello che ora considero il lusso vero: il tempo libero. Propongo loro di provare a godersi la vita, fermarsi un momento senza cellulare in mano per quel tramonto, per quella birra in terrazza. Credo che dopo questa crisi ci sarà un ridimensionamento naturale per il turismo di massa e saranno apprezzate le esperienze più lente e autentiche.

Tutte le foto di questo articolo sono di proprietà di Erica Giopp che ringrazio, anche per i consigli sul mal di mare 🙂