Dopo molti anni passati a lavorare all’estero Roberta decide di tornare a Palermo per cercare una casa e un lavoro più stabili. Ma spesso “sentirsi a casa” non ha tanto a che fare con il luogo in cui abiti, ma più con la possibilità di vivere secondo i propri valori.
Sul sito e sui social Roberta è La Signora dei Mari e se arrivi fino alla fine dell’intervista capisci bene perché.
Roberta, che rapporto hai con il mare?
Sono siciliana: se vivi in un’isola o impari a nuotare o rischi di rimanere incastrata per sempre. Ho imparato subito a nuotare, e da piccola ho cominciato a fare vela sugli Optimist. I miei genitori avevano una barca a motore, con la quale navigavamo tutte le estati, ma la mia passione era la vela. Dal 2010 mi sono iscritta alla Lega Navale ed ho cominciato a fare regate d’altura e nel frattempo mi sono anche presa la patente nautica senza limiti. All’inizio era solo una passione, poi è diventata il mio lavoro.
Che lavoro facevi prima?
Ho studiato giurisprudenza perché da sempre ho avuto la predisposizione a difendere i diritti delle persone più deboli, ho frequentato un Master in Relazioni Internazionali a Buenos Aires e Bologna. Dopo uno stage a Barcellona, ho vinto una borsa di studio per lavorare presso la cooperazione italiana a Città del Guatemala. Lì è iniziata la mia carriera nel mondo delle organizzazioni non governative e per 10 anni mi sono spostata in giro per il mondo per gestire progetti : Sri Lanka, Marocco,Senegal…

Cosa significa passare così tanto tempo lontano da casa?
Mi piaceva il mio lavoro, ma dopo tanti anni all’estero ho iniziato a provare quella che nel nostro ambiente chiamiamo la sindrome del cooperante. Inizi a sentire la mancanza di un luogo di appartenenza e ti chiedi se ci sarà mai un posto per te in caso volessi tornare a casa. Temi di restare fuori dalla società e dal mondo del lavoro, perché è un’esperienza difficile da riconvertire in un impiego classico. Nel 2010 sono tornata a Palermo per vedere se riuscivo a trovare uno spazio per me. Ho anche per la prima volta provato a fare l’avvocata.
Da come lo dici non è durata molto.
No, infatti. Ho continuato con missioni corte di identificazione e valutazione di progetti. È stato in questo periodo che ho potuto dedicare del tempo alla vela. Ho preso la patente, partecipato a regate, mi sono iscritta a Gente di Mare. Non avevo ancora un obiettivo preciso, ma andare per mare mi piaceva.

Non era ancora il momento di cambiare lavoro?
Stavo lentamente uscendo dal mondo del no-profit quando l’offerta di un lavoro stabile, proprio nella mia città, mi ci ha riportata dentro. Mi proposero di gestire un nuovo centro di riabilitazione per persone con disturbi psichici e accettai perché lavorare sul mio territorio era un desiderio che avevo avuto per tanto tempo. Ho diretto il centro per 4 anni e devo ammettere che – nonostante io avessi lavorato in contesti internazionali davvero difficili, anche di guerra – lavorare a Palermo mi ha messo davvero alla prova. Era difficile, spesso impossibile, proporre cambiamenti e modificare lo stato delle cose.
Dopo tanti anni in giro per il mondo com’è stato fermarsi?
In quel periodo ho sperimentato la stabilità: per la prima volta abitavo nella mia città e avevo un contratto a tempo indeterminato. Mi era capitato di desiderare questa situazione e mi è servito provarla in prima persona per capire che non è lo stile di vita adatto a me. Invece di vivere serena mi sentivo in trappola. Era forse la spinta che mi serviva per decidere finalmente di licenziarmi e cambiare ambiente.

Da dove hai deciso di ricominciare?
Mi sono aggrappata alla passione per il mare, tutto quello che avevo imparato mi è tornato molto utile. E come spesso succede quando ti liberi di un peso, inizi a cogliere le opportunità e permetti alle cose di accadere. Da qui in poi ho fatto degli incontri fortunati. Il primo è stato conoscere Andreas, un armatore tedesco proprietario di un catamarano Lagoon 450. Viveva in barca e aveva in progetto di esplorare il Mediterraneo con calma e poi attraversare l’Atlantico. Mi ha invitato a navigare con lui ogni volta che avevo tempo.
Che rotte hai fatto con lui?
Ho passato delle settimane tra Egadi, Pantelleria, Tunisia, e Malta e – in un’altra occasione – abbiamo esplorato l’Egeo meridionale dalla Grecia fino alla Turchia. Per finire con l’avventura più grande, la traversata dell’Oceano Atlantico. Gli sono molto grata non solo per la possibilità di fare esperienza, ma anche per avermi sempre dato molta fiducia. Abituata in Sicilia in cui è difficile anche farsi prestare l’auto dai genitori, mi sono stupita di come questa persona mi affidasse il comando e credesse nelle mie capacità. È stato importante perché così ho iniziato a farlo anch’io. Avevo ancora delle remore a dichiarare che il mare era il mio lavoro. Pensavo di avere ancora bisogno di fare esperienza, di acquisire altre qualifiche. Cosa che, visto il mio carattere, ho comunque fatto.

Quali qualifiche?
Ho conseguito il certificato Yachtmaster Offshore con commercial endorsement, un titolo inglese riconosciuto a livello internazionale con cui posso condurre imbarcazioni ad uso commerciale purché battenti bandiera inglese o dei paesi del Commonwealth . Con la sola patente italiana, si possono condurre imbarcazioni da diporto ma non si può svolgere l’attività professionale di skipper. Il corso mi è stato molto utile anche per cambiare approccio: sono passata dalla marineria al saper stare al comando.
Mi spieghi la differenza?
Prendendo la patente e stando in barca impari a muoverti, a fare le manovre, ma essere al comando è tutta un’altra cosa. Avevo bisogno di essere “costretta” a prendere decisioni per conto mio anche in condizioni atmosferiche difficili. Si faceva pratica in Oceano, con onde e vento quasi sempre dai 25 nodi in su.
Com’è stata la tua esperienza di traversata oceanica?
È stata una bella avventura, intensa e serena. Ho raccontato tutto in un diario di bordo che ho anche pubblicato: “Le cose che non ti aspetti dall’Oceano”. Oltre a questa esperienza per me è poi stato fondamentale conoscere Lorenzo e Yuko , due altre persone chiave nel mio percorso.

Le coincidenze non esistono…
Lorenzo e Yuko li ho conosciuti a Tenerife mentre studiavo per i miei titoli nautici. Vivevano in barca, su un Lagoon 440 con il figlio. Un anno fa avevano deciso di trasferirsi a Bali e cercavano qualcuno che si occupasse della loro barca finché non avessero capito come portarla in Indonesia. Mi chiesero: “Ma se ti lascio il catamarano finché mi organizzo, cosa ne pensi?” Avrei potuto gestirlo come preferivo in cambio della copertura delle spese. Era una bellissima occasione! Ero preoccupata di non riuscire a pagare i costi, ma non potevo lasciarmela sfuggire e accettai. Sono stata a Tenerife per sistemare la barca con Lorenzo e, insieme ad altre 4 persone di equipaggio, abbiamo navigato fino a Malaga, poi lui è sbarcato.
Era il tuo momento!
È stata la parte più bella: ero al comando del catamarano e, con 3 persone rimaste a bordo, l’ho portato da Malaga ad Alghero, una grandissima soddisfazione. Mi restava il dubbio di capire come fare a ricavarne un lavoro, ma fosse stato anche solo per quell’esperienza ne sarebbe valsa la pena. Avevo finalmente la fiducia che mi serviva per iniziare.

Com’è andata la stagione?
Ho deciso di fare la circumnavigazione della Sardegna ed è andata bene. Quest’inverno sono anche tornata a Tenerife per fare il corso Yachtmaster Ocean e per ora ho concluso la parte teorica. Vorrei arrivare al master 200gt perché mi permetterebbe di portare barche di tutte le bandiere, così da lavorare in serenità anche su barche con bandiera italiana.
Ma ora il catamarano lo devi “restituire”?
In teoria avrei dovuto riconsegnare il catamarano tra un paio di mesi, ma la navigazione fino a Bali richiede molto tempo, oltre che essere in acque particolarmente rischiose. Così alla fine il catamarano resta qui e continuerò a gestirlo io! Ho avviato una serie di pratiche per potere svolgere l’attività lavorativa e a breve metterò la barca in secco per fare un po’ di manutenzione. Ho imparato tanto in questi mesi, la barca ha bisogno di tanta manutenzione e molte cose riesco ormai a farle da sola.
Quanto è difficile essere la Signora dei Mari?
Quando sei donna se sali in barca per stare in compagnia e sistemare i parabordi va bene. Ma se cerchi di passare al comando ti demoliscono. Ancora oggi mi capita che salgano in barca degli ospiti che hanno fatto un quarto delle mie esperienze e si sentono in diritto di darmi consigli su come stare al comando. Non sono più disposta a passarci sopra.

Ho passato tanto tempo a cercare di dimostrare di valere. Ora ho passato i 40, non voglio più dimostrare niente a nessuno. Per ottenere quei titoli, fare quegli esami, prendermi il diritto di essere al comando ho davvero faticato, una fatica che non ha nulla a che vedere con il mare; solo una donna può capire di che fatica sto parlando. Quando smetti di fare l’aggressiva e vuoi solo essere te stessa (in qualsiasi ruolo, ma ancora di più in uno di comando) diventi invisibile. Non voglio più combattere contro nessuno, ma voglio solamente essere me stessa, una velista competente che ama fare il proprio lavoro.
Nel tuo sito scrivi “equipaggio al femminile”.
Sì, è una scelta. Non perché io non faccia salire uomini a bordo, ma voglio che si capisca che sono di supporto alle donne che vanno per mare, mi piacerebbe dare il mio contributo per rendere loro la vita più semplice. Vedi? Mi ero ripromessa di non lavorare più nel sociale, ma è parte di me, non credo di riuscire a fare un lavoro che non abbia dei risvolti anche sulle persone che incontro.

Grazie a Roberta per il tempo che mi ha dedicato e per avermi ricordato che esistono tanti modi di andare per mare. Torno alla ricerca di un’istruttrice e mi faccio trovare pronta per la traversata. 🙂
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