Lo stretto di Gibilterra in barca a vela: avevo immaginato il passaggio con un sottofondo di musica eroica e lo sguardo verso orizzonti lontani. Non è andata proprio così, ma vale la pena raccontarlo lo stesso.
Mi sono imbarcata per la tratta Malaga-Canarie in ottobre 2017. Ero inesperta, curiosa, intimorita ed esaltata, tutto insieme. Lo sono ancora, a ogni imbarco.
La partenza da Malaga e il primo tramonto
Da Malaga in poi, prima di incontrare l’Oceano, il Mediterraneo si chiude come un imbuto. Le coste creano una strettoia e il mare pullula di vita. Fin da subito incrociamo branchi di tursiopi e avvistiamo alcune pinne di pesce luna. Lo spazio diminuisce e anche la concentrazione di navi aumenta.
Tutto l’equipaggio è fuori a godersi il primo tramonto del viaggio, a dare una mano con la guardia e a respirare a fondo, per placare l’adrenalina della partenza.

Vuoi vedere l’arrivo a Gibilterra?
Il vento si incanala, le onde crescono rapidamente e io pago subito il conto della mia inesperienza. Appena finisco il mio turno al timone scendo sottocoperta e ne risalgo con un malessere diffuso. Non mi attrezzo in tempo per il calare del sole e prendo freddo: sono spacciata, il mal di mare mi ha preso e non mi molla. Vomito a più riprese fino a che, sfinita, mi distendo in cuccetta a maledire tutte le strade che mi avevano portato lì.
Quando il capitano scende a chiamarmi è quasi mezzanotte. Faccio fatica ad aprire gli occhi e a contrastare il peso del mio corpo abbandonato sul materasso, ma stiamo per arrivare a Gibilterra. Mi informa che faremo una sosta tecnica, ripartiremo domani e avrò tempo di riprendermi.
Esco in coperta e l’aria della notte mi sveglia. La punta della Rocca è immersa nella nebbia e il buio fa risaltare le luci rosse dei fari e le fiamme dalle ciminiere sulla costa. Alle spalle abbiamo le luci africane. Tra i due continenti una fascia buia: il varco per passare in Oceano. Il paragone con la fine del mondo mi sembra azzeccato.

Passare le Colonne d’Ercole
Le Colonne d’Ercole non sono un luogo fisico, non esistono, non si sa con certezza dove la letteratura e le abbia immaginate. Le Colonne d’Ercole sono la fine del (mio) mondo conosciuto: una scossa alle paure e una stretta di mano alla curiosità.
Alla luce del giorno è tutto meno mitologico. Dopo una passeggiata a La Linea e la salita sulla Rocca, con foto alle ferocissime scimmie, aspettiamo che la marea sia favorevole all’uscita dallo stretto di Gibilterra.
Il canale è trafficato. Navi, pescherecci, pilotine e gommoni lo attraversano continuamente; la strumentazione di bordo è in allarme. Nel punto più stretto, tra le coste spagnole e quelle marocchine, ci sono 14 km. Le barche a vela possono attraversare il canale solo lungo una stretta fascia, con l’indicazione di passare in fretta mantenendo la rotta il più possibile perpendicolare al traffico.

Quindici nodi di vento in poppa piena vengono a sputarci fuori. Vele aperte a farfalla e direzione sud-ovest. Piano piano le coste spagnole spariscono, passiamo Capo Spartel e siamo in Oceano. Un sorriso si apre, il cuore è più leggero. Mi sento bene: l’onda non mi dà più fastidio e sento che il corpo si abitua piano a un nuovo equilibrio.
Il tempo è bello, ma mi colpisce un fulmine
Sono passati mesi, ma quella leggerezza dentro c’è ancora. Se chiudo gli occhi e respiro a fondo sento quell’onda che solleva la barca, la porta in alto e allarga l’orizzonte. Poi scende, ti avvolge di blu e ricomincia. Lo chiamano il respiro dell’Oceano e non si può descrivere.
Quando conosci una persona di cui ti innamorerai, al momento delle presentazioni, non sai quanto quell’istante ti cambierà la vita. Io avevo appena iniziato a presentarmi all’Oceano e andavo ignara verso un colpo di fulmine. |
