Questa intervista è più lunga del solito, ma non riuscivo a scegliere quale parte tagliare. Io non aggiungerò righe di introduzione perché la Comandante Serena Melani si presenta benissimo da sé.
Serena, è inevitabile chiederti come sei arrivata a essere Comandante: quando hai iniziato a pensare che fosse una carriera interessante per te?
Sono nata e cresciuta a Livorno che è una città portuale importante ma non vengo da una famiglia di navigatori, da piccola non pensavo a diventare Comandante. La passione che ricordo di avere sempre avuto è quella per i viaggi e in questo senso le navi che vedevo in porto erano mondi affascinanti, volevo sapere dove erano dirette e che vita si faceva a bordo.
In terza media una professoressa venne in classe a presentare le varie scuole superiori che avremmo potuto scegliere e scoprii l’istituto nautico. Pensai: intanto mi iscrivo e poi si vedrà, l’importante è che io riesca a viaggiare in qualche modo.

Quando arrivai al diploma non era un buon momento per il settore, trovare un imbarco era difficile, per le ragazze ancora di più. Ricordo di essere stata rifiutata con delle scuse assurde. Scrissi anche alla Commissione per le Pari Opportunità del Parlamento perché si interessasse alla questione ma nessuno mi rispose mai. Per un periodo lavorai a terra e frequentai l’università, ma decisi di continuare a cercare anche un imbarco, dovevo almeno provare una volta prima di darmi per vinta. Magari non mi sarebbe piaciuto e avrei fatto altro, ma dovevo provare. Riuscii a trovare il primo imbarco dopo cinque anni, ovviamente gratis, perché quando ti imbarchi gratis allora vanno bene anche le donne.
Qual è stato il primo imbarco?
Quando ancora frequentavo l’Istituto Nautico, durante le vacanze estive mi imbarcai per due volte come Allieva del Nautico, avere sedici anni e una grande libertà fu travolgente. Dopo la scuola riuscì finalmente a trovare un imbarco come Allievo Ufficiale sulle petroliere, grazie ad un progetto della Comunità Europea. Fui l’unica ragazza di quel gruppo e praticamente non venivamo pagati. Avevo comunque raggiunto il primo traguardo: la licenza da Primo Ufficiale. Si andava raramente a terra, ho fatto un imbarco anche di sette mesi senza scendere. Ma sentivo appagata la mia spinta a cercare orizzonti e mondi diversi, anche se li vedevo dalla nave.
Come sei passata dalle navi da carico alle navi passeggeri?
Un amico mi parlò delle navi passeggeri; la compagnia per cui stavo lavorando sarebbe stata venduta, quindi mi dissi perché no? Feci domanda e mi presero. Era la Carnival, una compagnia di navigazione americana, la corporation più grande al mondo per navi passeggeri. C’erano molti ufficiali italiani ma solo due donne.
Le navi da crociera sono tutto un altro mondo, io dico sempre che sono degli esperimenti sociali che nessuno ha mai studiato abbastanza: un piccolo villaggio galleggiante dove ci sono persone di tutto il mondo, orientamenti religiosi e sessuali diversi; il confronto con queste persone ti libera da molte convenzioni sociali che a terra sono limitanti. In questi anni si parla spesso di inclusione, ma devo dire che sulle navi da crociera questa inclusione c’è sempre stata.

Il lavoro mi piaceva, ho avuto anche delle belle soddisfazioni perché sono stata promossa abbastanza velocemente. In quel periodo ho anche incontrato l’uomo che poi è diventato mio marito, una svolta importante dal punto di vista personale. Con il tempo però quelle rotte hanno iniziato a starmi strette: erano navi molto grandi che facevano sempre gli stessi giri, era diventato come condurre dei grossi autobus. Non era quello che cercavo.
Che altre possibilità ci sono oltre quelle grandi navi da crociera?
Non sempre si va verso qualcosa di più grande. Io sono passata a una compagnia più piccola con navi di medio tonnellaggio che però navigavano ovunque. Già dal primo imbarco con loro feci il giro del mondo completo. Anche le persone che salgono a bordo di quelle rotte hanno intenzioni e provenienze diverse, mi sono trovata subito bene. Non ho cambiato per avanzare di carriera ma per continuare a fare quello che facevo prima in una dimensione che mi apparteneva. Stare di guardia sul ponte era una delle cose che amavo di più. Alla fine c’è stata anche l’occasione di proseguire la carriera e nel 2016 mi hanno promosso Comandante.

Quando mi hanno promosso Comandante, sono stata la prima donna Italiana a ricoprire il ruolo di Comandante di navi passeggeri e prima Comandante donna della Compagnia NCLH. Circa due anni dopo la compagnia mi propose di seguire la costruzione e l’allestimento dell’ultima nave in progetto, il Seven Seas Splendor. Vedere nascere una nave fin dalle sue prime fasi è un’esperienza unica; per noi gente di mare è un po’ come veder nascere un figlio. Non capita a molti Ufficiali e sono stata la prima Comandante donna al mondo ad avere questo onore e possibilità. Non vado in cerca di record ma sicuramente è importante rimarcare questi traguardi perché quando iniziai, più di 30 anni fa, per una donna era ancora estremamente difficile anche soltanto farsi assumere come Allieva Ufficiale.
La nave è stata costruita in Italia, ad Ancona; siamo riusciti a fare il viaggio inaugurale, il battesimo e la crociera inaugurale fino a San Diego, poi il covid ha bloccato tutto. Ora siamo in attesa di ricominciare.
In questo racconto di successo ci sarà pure un lato oscuro.
All’inizio non lo vedevo. È vero che ho accettato di lavorare senza stipendio per più di un anno, ma ero lo stesso felice di accumulare miglia. Quando sei molto giovane l’entusiasmo aiuta a non vedere i lati negativi. Con il tempo invece si notano di più.
Nel 2019 ho passato a casa un mese e mezzo, la mancanza di mio marito si è fatta sentire. Mio marito lavorava come macchinista sulle navi da passeggeri e, per supportarmi nella mia carriera, ha deciso di cambiare passo e lavorare nel mondo degli yacht commerciali, dove l’organizzazione più flessibile gli ha permesso di scegliere i suoi periodi di vacanza per cercare di farli coincidere con i miei, molto più’ rigidi. Comunque resta la difficoltà di vedere poco lui e la mia famiglia.

Un altro brutto momento è stato il lockdown del 2020: eravamo bloccati, ho avuto a bordo persone partite con un contratto di 6 mesi che sono rimaste imbarcate 14. Alcune hanno perso i familiari e non sono potute sbarcare. Ci sono state molte condizioni critiche di cui si è parlato poco.
Al di là della pandemia, che nessuno poteva immaginare, le grandi corporation – in mare come in terra – hanno strutture molto rigide che impongono delle limitazioni. Ad oggi i lati positivi sono ancora molti, ma quando non riuscirò più a controbilanciare sarà il momento di cercare altro.
Dopo aver raggiunto il vertice della carriera il piacere di andare per mare rimane?
Sì, quello sempre. Ogni volta mi stupisco anch’io di questa cosa. L’anno scorso mi sono imbarcata a luglio, la nave era ad Aruba nei Caraibi e dovevamo fare il trasferimento per passare l’inverno in Europa. È inusuale fare una transatlantica d’estate per una nave da crociera, di solito viene fatta nelle stagioni intermedie. Mi sono davvero goduta il viaggio. Abbiamo incontrato un tempo bellissimo, siamo passati vicino a delle isole straordinarie. Sono stata quasi ovunque nella mia vita, ma questa emozione della navigazione mi travolge ancora: il passaggio di Gibilterra o dello stretto in Sicilia. Sono cose che ancora mi fanno sentire come quando ero allieva.
La tua famiglia credeva nel tuo percorso mentre lo facevi?
Il mio babbo aveva una mentalità molto aperta e mi diceva: qualsiasi lavoro sceglierai di fare, la cameriera, l’avvocato, il dottore, la spazzina, cerca di farlo al meglio. Per mia mamma è stato per tanto tempo un mondo oscuro, ha capito cosa facevo a bordo dopo che lesse il primo articolo che scrissero su di me. Pensando alla famiglia… è successo che il mio babbo è morto mentre io stavo facendo una traversata dall’America alle Hawaii e non sono potuta sbarcare. A mio marito è successo lo stesso. Per questo dico che non è un lavoro per tutti. Non tutti riescono a gestire un lavoro che ti disconnette completamente dai tuoi affetti, soprattutto perché la maggior parte delle persone non sceglie questo lavoro ma lo fa per necessità.

Hai mai pensato alla vela?
Quando andavo al nautico feci anche vela ovviamente e mi piaceva moltissimo. Quando ho iniziato con gli imbarchi lunghi però il poco tempo che avevo a disposizione lo passavo a terra e non ho approfondito. Ma con mio marito abbiamo spesso fantasticato sui sogni da realizzare quando inizierò a staccarmi un po’ da i ritmi di questo lavoro: uno è la barca a vela e l’altro è il camper, come raccontava Carmela nella sua intervista. Ogni volta che torno a casa a Livorno sono felice di vedere i miei cari, ma ho sempre la sensazione che vivere per tanto tempo nello stesso luogo non faccia per me.
Cosa ti dà tanta solidità?
Cerco sempre di guardare alla vita mettendo tutto, i fallimenti e i successi, nella giusta prospettiva, come disse un poeta che amo molto: bisogna trattare questi due impostori allo stesso modo.
Una cosa che credo sia importante per tutti, non solo per chi naviga, è la lettura. Io l’ho sempre amata fin da bambina perché mi permetteva di viaggiare anche senza spostarmi. A chi mi chiede che cosa portare a bordo io consiglio sempre tanti libri, perché sono un’ancora di salvataggio. Prima di fare qualsiasi scelta di vita è fondamentale leggere e guardare il mondo con gli occhi degli altri. Se devo consigliarne uno direi La saggezza del mare di Björn Larsson: oltre ad essere un libro che ho amato molto, al suo interno contiene molti altri consigli di lettura che mi hanno aperto finestre su mondi e storie che non conoscevo.

Ci sono ancora ostacoli da superare per una donna che vuole avvicinarsi al tuo lavoro?
Prima della distinzione sul genere ci sono altre riflessioni da fare. Molte persone arrivano a questo lavoro per necessità, altri per tradizione, altri per passione. Io dico sempre agli allievi che arrivano a bordo di cercare di capire se è quello che vogliono fare, al di là di tutto. Alle allieve lo dico ancora di più, perché ci sono delle scelte importanti da fare, devono essere consapevoli che a volte avranno effetti per tutto il resto della vita. Puoi crearti una famiglia, ma devi trovare una persona che accetti di vederti tre/quattro mesi l’anno. Puoi avere figli ma poi devi decidere come crescerli. Io ho deciso che i figli non fossero compatibili con il mio desiderio di continuare questa vita, e ho deciso di non averne.
Al giorno d’oggi è più facile imbarcarsi rispetto a quando ho iniziato io. Si troverà sempre lo stupido che fa battute o marginalizza il ruolo della donna a bordo, ma non è più sistematico. Io consiglio sempre di non fare caso alle battute d’arresto che ci saranno, come in tutti gli ambiti lavorativi, e propongo più di valutare quanto vogliamo permettere che il lavoro influisca sulla vita personale. Quanti compromessi possiamo sopportare?

Per aggirare alcuni ostacoli ho scelto spesso l’ironia. Quando ero sulle navi da carico c’era l’usanza che l’allievo in arrivo di guardia sul ponte facesse il caffè. Anche se non ero di guardia è capitato chiedessero a me il caffè per tutti, perché ero una donna. Avrei potuto scontrarmi ma ho scelto di prenderli in giro. Gli feci questo caffè pigiando pigiando la polvere e mettendo poca acqua, servii il caffè a tutti e li vidi correre a vomitare fuoribordo. Alla fine il caffè non me lo chiesero più e iniziarono a farlo a me.
Quando fui promossa Comandante uno che credeva di essere simpatico mi disse “I hope that you drive better than my wife”. [Spero che tu sappia guidare meglio di mia moglie] A una battuta così cosa potevo rispondere? “Ti do le chiavi e guida te se ti senti più sicuro”. Questo intendo quando dico di fare quello che serve per andare avanti, sapendo che la vita è complicata in ogni caso. In generale credo sia meglio capire se questo è il tipo di lavoro che vogliamo e non iniziare pensando di voler diventare Comandante. Il viaggio non si fa per raggiungere la meta, ma per godere del viaggio stesso. È bello avere degli obiettivi ma devi poter gioire di ogni passaggio.

Le foto di questo articolo sono di proprietà di Serena Melani che ringrazio per avermi raccontato un mondo che non conoscevo. Spero di riuscire a ricordare al momento giusto il suo uso saggio dell’ironia e la sua ricetta per il caffè.