La via per passare da un punto a un altro non è quasi mai una retta, noi marinai lo sappiamo, almeno in teoria. Quando si tratta di pratica, diventa sempre tutto più complicato. In questa intervista Laura ci racconta il suo percorso, le sue virate e la nuova rotta che sta tracciando.
Laura, senza volerlo continui la serie di interviste ai marinai-ingegneri. Ci racconti un po’ il tuo percorso?
Sono originaria di Mantova e mi sono laureata a Bologna in ingegneria gestionale. Alla fine del percorso quinquennale, chiesi al mio prof preferito di impianti industriali una tesi sperimentale; lui aveva dei contatti a Maranello e mi propose di fare uno stage con loro e lavorare da lì alla mia tesi di laurea. A 23 anni, quindi, mi trovai a lavorare in Ferrari iniziando quasi per caso il mio percorso da ingegnere gestionale nell’automotive di lusso, che poi mi ha accompagnata per i 12 anni successivi. Lavorai in Ferrari circa 3 anni e mezzo, poi passai a Maserati. Infine accettai un’offerta di Lamborghini dove rimasi fino all’anno scorso.
Il tuo lavoro ti ha portato anche a trasferirti.
Del mio percorso universitario avevo un solo rimpianto: non aver partecipato al programma Erasmus per studiare all’estero. Ho sempre amato viaggiare ma durante l’università studiavo anche pianoforte al conservatorio e per rimanere in pari con gli esami scelsi di non partire, fantasticando sull’anno sabbatico che mi sarei potuta prendere dopo la laurea. Ma alla fine è capitata quell’occasione in Ferrari e cosa fai? Dici di no? Quindi ho continuato nel percorso professionale portandomi dentro questa voglia di esplorare. Ho incalzato i miei capi dando la mia disponibilità per un’esperienza professionale all’estero. Dopo un po’ di gavetta, a circa 30 anni, Maserati mi propose un trasferimento a Dubai. Successivamente con Lamborghini mi sono trasferita a Singapore.
Sembra una carriera da manuale.
In parte sì, lo è stata. Ma oltre alla crescita professionale c’è stata anche una crescita interiore. E qui la barca a vela ha giocato un ruolo fondamentale.

Quando hai iniziato ad andare in barca?
A 15 anni mia mamma mi iscrisse ai corsi del Centro Velico di Caprera. Ho iniziato dalle derive, poi i piccoli e grandi cabinati. Fin da piccola ho amato il mare e la sensazione di libertà che regala un orizzonte infinito. Con la vela è nato subito un grande amore che è cresciuto con me. A 25 anni, facendo formazione per istruttori, ho conosciuto la navigazione oceanica e ho capito che quel richiamo non mi avrebbe più abbandonato. È difficile da spiegare a chi non prova la stessa cosa, così profonda. Chiamarlo sport è poco, ma anche passione è riduttivo. A volte per spiegarmi dico che fa parte della mia anima.
Dove hai navigato?
Ho fatto formazione in luoghi e situazioni molto diverse tra loro: dal Portogallo alle Azzorre, nel sud ovest dell’irlanda, in Medio Oriente e in Asia. Ho partecipato a regate off shore come la Middle Sea Race e la Dubai-Muscat. Ho conseguito lo Yachtmaster RYA nel Solent. Mi manca la Bretagna e la parte nord ovest della Francia che spero di fare presto. La navigazione oceanica mi ha conquistato, ma riconosco che il Mediterraneo ha delle sfaccettature molto sfidanti e resta per certi aspetti il mare più bello. L’onda lunga di 4 metri in Oceano può incutere timore, ma spesso è più navigabile di quella corta e frenetica che può formarsi in Adriatico. Quello che più ha contribuito alla mia formazione è stato navigare con barche diverse e marinai diversi, perché non c’è un solo modo di andare per mare. Sperimentarne tanti, permette poi di creare il proprio.

Quando hai iniziato a mettere in dubbio la tua carriera come ingegnere?
Dopo una decina di anni in azienda ho iniziato a chiedermi se il mondo corporate fosse davvero la strada giusta per me. Avevo raggiunto l’obiettivo di vivere all’estero e le soddisfazioni non mi mancavano, ma mi restava dentro sempre una sensazione strana. Le domande che mi facevo sul futuro avevano un tono diverso. Non riguardavano più solo gli obiettivi lavorativi, ma la crescita personale e l’attenzione verso gli altri. Quando raccontavo le mie idee, però, venivano spesso etichettate come fantasie o sogni impossibili. È una fase difficile del cambiamento in cui tutto il sottofondo culturale del sistema in cui viviamo e che ci portiamo dentro rischia di remare contro.
C’è stato un momento di svolta particolare?
Non un episodio specifico, ma alcuni incontri mi hanno aiutato a unire i puntini. Non avevo davvero nulla di cui lamentarmi durante il mio ultimo ruolo, ma proprio perché davanti al lavoro ideale i pensieri rimanevano, non potevo più ignorarli. Ho capito che se non avessi provato a dare voce a questa ‘chiamata’ me ne sarei potuta pentire per tutta la vita.

A volte arrivano anche dei segnali… Un giorno mi trovai tra le mani il libro Adesso basta di Simone Perotti: in quelle pagine ho ritrovato le mie paure, i miei ragionamenti, gli stessi calcoli economici necessari a dare concretezza alle idee. Capire di non essere l’unica con il desiderio di rivedere quello che socialmente viene etichettato come “successo”, mi consolava.
Ho poi avuto l’occasione di conoscere personalmente Simone che mi ha coinvolta in progetto Mediterranea e con cui ho intavolato lunghe chiacchierate in pozzetto, parlando di cosa possa davvero significare essere liberi. Alla fine mi sono dimessa: è stata una decisione presa contro il parere di tutti, parenti e amici, la più difficile della mia vita, ma sentivo che era un passaggio della mia evoluzione che dovevo attraversare per fare spazio a un percorso di crescita e ricerca.
Avevi già un’idea di cosa fare dopo?
Quello che sapevo per certo era che volevo stare per mare tanto tempo, così dopo essermi licenziata ho navigato per quattro mesi. Avevo tante idee, ma mi serviva tempo per focalizzarmi e trovare un buon equilibrio tra le mie competenze e un nuovo modello di vita adatto a me. Sentivo di voler tornare padrona del mio tempo, l’unica vera risorsa che passa e non torna più. Ho approfittato di questo periodo per formarmi: oltre a essere ingegnere, istruttrice di vela e insegnante di yoga ora mi sono certificata come coach con il metodo Wave. La recente chiusura a causa del virus ha rallentato molti progetti, ma ora si ricomincia.

Una manager di sicuro non trascura il lato economico della faccenda.
Sto continuamente lavorando sulla sostenibilità del mio nuovo stile di vita e la mia scelta è stata ponderata e consapevole. Prima di licenziarmi ho fatto i calcoli su quanto tempo avrei potuto concedermi per organizzare la mia nuova vita. Non sono una che spende in capi firmati o ristoranti stellati e questo decisamente aiuta. Quello che ho speso è sempre stato per la barca a vela e per viaggiare.
Come ti vedi da qui a un anno?
Sto lavorando a una formula per combinare le mie diverse competenze e i miei valori. Da una parte tutto quello che ho imparato come ingegnere e manager può essere applicato alla nautica: business development, gestione della rete vendita, formazione. Dall’altra mi piacerebbe unire la navigazione al coaching, lanciando un messaggio di consapevolezza. Ci sono dei grandi temi di crescita personale, utili sia alle persone che alle aziende, che si possono affrontare in barca: leadership, soluzione rapida dei problemi, gestione dei conflitti.

Sono cambiati i commenti ora?
Sì, ora molte persone che incontro si complimentano, dicono che vorrebbero avere il mio stesso coraggio. Sono felice di poter testimoniare che le catene che ci costruiamo si possono spezzare, ma la libertà è difficile da gestire. Come spiega bene Simone, all’inizio ci si concentra su essere liberi da, ma poi bisogna essere pronti a mettersi in ascolto e progettare come essere liberi di… Liberi di fare cosa? Di essere chi? Quando ti dimetti sembra di aver scalato una montagna altissima, ma dopo qualche mese ti accorgi che quello è stato solo il primo piccolo passo e arriva il momento di decidere chi sei e cosa vuoi fare davvero. Quando hai davanti un foglio bianco e devi progettare la tua nuova vita rendendola sostenibile facendo ciò che ami può essere spaventoso, ma allo stesso tempo senti una forza enorme.
Ci dimentichiamo che spesso la libertà va a braccetto con la solitudine: i ritmi e le priorità saranno diverse da quelli della maggioranza delle persone. Sono convinta che tutti possano trovare la propria formula per la libertà e la consapevolezza di sé in relazione agli altri, ma bisogna essere disposti a fermarsi e mettersi in ascolto.
Tutte le foto di questo articolo sono di Laura Giusti, che ringrazio per la chiacchierata e gli spunti interessanti che ha condiviso. Buon vento!