Alessia ha 26 anni, è armatrice da quando ne aveva 20. Quando la intervisto – a inizio settembre – è partita da sola in barca a vela da pochi mesi. Ormeggiata in rada vicino a Spalato ha qualche problema al motore, ma il morale altissimo: risate e battute in veneto garantite.
Quando hai iniziato a mollare gli ormeggi?
A 18 anni, ho fatto una vacanza a piedi sul cammino di Santiago. Prima di partire ero una da abiti firmati, truccata, capelli sempre a posto con la piastra. In quel viaggio, così fuori dalle mie abitudini, mi sono resa conto che potevo vivere con meno e meglio. E, sempre camminando, è nato il desiderio di viaggiare in modo diverso, magari fare un giro del mondo con calma. Non a piedi, troppo faticoso, meglio con un van.
Ma Santiago non ha molto a che fare con le barche.
No, infatti io vado in barca a vela da poco tempo. Abitando a Venezia ho sempre visto le barche e mi piacevano, ma non ne sapevo nulla. La prima cosa che ho imparato a timonare sono stati i vaporetti.
Guidavi i vaporetti a Venezia?
Esatto. Durante l’università cercavo un lavoretto estivo e sono stata presa come marinaio dall’ACTV [Azienda del Consorzio Trasporti Veneziano]. Non sapevo nulla di navigazione, all’inizio stavo sul ponte, ma poi, quando ho mollato l’università quello è diventato il mio lavoro e con il tempo sono diventata pilota. Ok, tecnicamente non sarebbe corretto, ma nessuno dice comandante di vaporetti, quindi pilota. All’inizio mi divertivo molto ma è diventato in fretta un lavoro ripetitivo. Così ho sfruttato la possibilità che mi offriva di fare dei corsi per diventare comandante di ferry e mi sono iscritta al liceo nautico.

Sei tornata a scuola?
Per diventare comandante ci sono una serie di step. Parti da allievo ufficiale di coperta, poi devi fare alcuni mesi da allievo imbarcato in una nave. Finiti quei mesi ci sono gli esami da ufficiale e alla fine da comandante. Nel programma del nautico erano previsti degli imbarchi e tra questi uno sulla goletta Pandora, riproduzione di una goletta russa originale. È stato un colpo di fulmine, lì mi sono innamorata della vela. In quel periodo ho conosciuto anche delle persone che vivevano in barca e ho sostituito in fretta l’idea di girare il mondo in van con quella di farlo in barca. Stavolta non era più così per dire. Era il 2017 e quando sono tornata a casa mi sono messa alla ricerca della mia barca.
Come si cerca la prima barca?
Avevo navigato un po’ e avevo appena fatto un bel ripasso di tutta la teoria della navigazione, ma non sapevo nulla di quello che significa avere una barca a vela. Ho iniziato a leggere tutto quello che trovavo su come scegliere una barca per viverci e navigare. Il mio primo libro fu Sotto un grande cielo (di Carlo Auriemma ed Elisabetta Eordegh). Per colpa del loro libro ho deciso che avrei voluto fare il giro del mondo in barca con l’uomo della mia vita. Mi mancavano solo la barca e l’uomo, ma l’importante era avere un’idea.

Che barca hai scelto?
Volevo un barca solida, magari più lenta, ma sicura. E il caso ha voluto che proprio vicino casa mia ci fosse un signore che vendeva una barca così: una Lynaes 29, progetto svedese. Aveva un grosso problema di osmosi, per quello potevo permettermela. L’ho chiamata Coolona, esatto, si pronuncia proprio “culona”. Poi mi sono imbarcata per i Mari del Nord e quando sono tornata ho fatto io stessa i lavori.
Aspetta, perché i Mari del Nord?
Sempre con il programma della scuola mi sono imbarcata come come allievo ufficiale di coperta su un ferry che faceva la tratta Nynäshamn (Svezia) – Ventspils (Lettonia) nel Mar Baltico. La nave traghetto caricava camion che trasportavano cemento e ripeteva sempre la stessa tratta. Al mattino presto eravamo in Lettonia, alla sera eravamo in Svezia. E poi viceversa. Io ci avevo lavorato di fantasia, immaginavo di imbarcarmi su questa nave in mezzo ai ghiacci e di vedere gli orsi polari. Quando capii quello che dovevo fare davvero era troppo tardi: niente orsi polari o navigazioni da film, solo caricare-stivare-scaricare camion per quattro mesi. In inverno abbiamo raggiunto i -30 gradi, è stata un’esperienza tremenda, ma ce l’ho fatta.

Poi sei tornata dalla tua Coolona.
Nel 2018 l’ho sistemata, messa in acqua e navigato fino in Puglia con un’amica e collega. È stato bellissimo e sull’onda dell’entusiasmo decidemmo di comprare una barca assieme. Vendetti la mia e comprammo in società una goletta in acciaio di 13 m con 2 alberi, una barca bellissima. Ma la cose tra me e Elena non funzionarono. Credo che in queste situazioni sia indispensabile avere un obiettivo comune molto forte e le nostre idee non lo erano abbastanza. Da sola non potevo permettermi di comprare la sua quota e per me era una barca troppo grande da gestire. Così all’inizio di quest’anno decidemmo di venderla.
Di nuovo a caccia di barche?
Ho iniziato il 2020 con un buco nero: un’amica in meno e una barca a due alberi che pensavo di non riuscire a vendere mai. Metto in vendita la barca e dopo due settimane esplode la pandemia. Se devo trovare un lato positivo, almeno in quel periodo vivevo in barca e ho passato la quarantena ormeggiata alla Certosa di Venezia, con il mio cane durante il marzo più bello che potesse esserci. Contro ogni mia aspettativa, due settimane dopo la riapertura tra le regioni, una coppia comprò la mia barca. Avevo finalmente la mia quota di barca in mano ed ero pronta a spenderla. Tempo una settimana trovo una barca come la prima che avevo avuto, vado in Croazia a vederla ed è mia: la Coolona II.

Non ti fermi un attimo.
Fino a quel momento no, volevo a tutti i costi la mia barca. Poi ammetto di aver passato un periodo di smarrimento. Avevo la barca, ma mi mancava sempre qualcuno con cui condividerla. Era rimasto in me il sogno di licenziarmi e girovagare con una persona importante, non perché da sola non ne fossi in grado, ma perché come dice Christopher in In to the wild:la felicità è reale solo quando è condivisa. Io sono stata molto da sola, per scelta, senza sentirmi da sola. Ma per esempio: se vedi i delfini sei felice di averli visti, ma se li condividi con qualcuno sei più felice. Puoi fare tutti i video e foto che ti pare, ma per me non è la stessa cosa. Comunque lo spaesamento è durato poco, mi sono detta: se sto ad aspettare il principe azzurro rischio di stare qua una vita. Parto da sola.
E con il tuo lavoro ai vaporetti?
All’inizio ero molto indecisa. Da una parte mi rendevo conto di avere un buon lavoro e un buon stipendio, con tutte le sicurezze che di solito le persone desiderano. Dall’altra sapevo che non ero felice e l’unico motivo per cui non mi ero ancora licenziata era la paura di lasciare quello che finora rappresentava una vita normale. Ma insomma, io ero quella che diceva di voler fare il giro del mondo e da qualche parte dovevo iniziare, così lo scorso 24 luglio mi sono licenziata. È successo da talmente poco tempo che se io ora tornassi a Venezia, andrei in automatico al lavoro.

Come sei organizzata ora?
Ho sempre pensato che l’ostacolo più grande fosse mollare il lavoro. Ora che l’ho fatto, mi accorgo che quello era il passaggio più semplice. La cosa difficile è trovare uno scopo in cui riconoscermi e un modo per guadagnarmi da vivere che sia coerente. Al momento sono a zonzo per la Croazia. In estate è perfetto, ma ora mi devo fare un piano per l’inverno e un programma serio il prossimo anno.
Come ti sostieni?
Ora ho qualche soldo messo da parte. Le barche che ho comprato erano tutte da sistemare, le ho pagate tra i 7 e i 15 mila euro, sono cifre abbordabili per una persona che lavora, non più di un auto. Con il TFR e un po’ di risparmi ho fatto il conto di avere davanti a me un anno per ri-organizzarmi. Non ho idea di cosa mi inventerò e non ci sto pensando. Questo periodo zingaro mi sta facendo bene: non ho condizionamenti, quello che avevo prima non c’è più ad aspettarmi. Non ho vincoli per il futuro e finalmente la testa è libera. È proprio come dicono: bisogna prima perdersi per poi ritrovarsi. So che sembra incosciente visto dall’esterno, ma qualsiasi decisione presa prima di questi mesi sarebbe stata inutile, perché sarebbe stata di un’altra persona, che ragionava in un altro modo. Oggi non ho una risposta precisa da darti, magari se mi intervisti tra un anno ti aggiorno.
Sei diventata armatrice giovanissima. Come ti sei trovata nel mondo della vela prettamente maschile (e spesso maschilista)?
Ne potrei raccontare tante. Ad esempio, quando ho comprato la mia prima barca avevo 20 anni e un problema di osmosi da risolvere. Non potevo pagare 10.000 € un cantiere che me la sistemasse, dovevo fare io il lavoro. Più di qualcuno mi ha rifiutato il posto in cantiere perché dicevano che da sola non ce l’avrei mai fatta. Qualche mese fa, il proprietario di quest’ultima barca, quasi non me la voleva vendere. Mi ha interrogato sull’alfabeto nautico, per verificare che sapessi veramente qualcosa di navigazione. E questi sono solo due, non ti dico su internet cosa succede. Io ho deciso che se voglio essere riconosciuta come marinaia condivido cose di mare e di barca, non foto in costume e citazioni di Baudelaire. Questo comunque non impedisce a decine di velisti di mandarmi messaggi di approccio, anche pesanti. Diciamo che per sopravvivere devi essere più competente di un marinaio maschio medio e stare attenta a come ti poni. Devo dire però che il mare è anche pieno di persone splendide e in molti mi hanno supportato e aiutato volentieri.
Amici e parenti cercano di farti tornare a casa?
Tutti! All’inizio anche una parte del mio cervello era d’accordo con loro. Ma adesso sono felice, sono guarita da un sacco di fastidi fisici, dalla spossatezza che mi perseguitava. È ovvio che dovrò lavorare, non sto qui a dire che farò l’hippie per tutta la vita. Mi rendo anche conto che io posso vivere così in questa fase della mia vita, senza persone che dipendono da me. Per chi è sposato, con un mutuo e magari dei figli, non è possibile fare questo salto nel vuoto. Ma credo che se non ti piace quello che fai puoi almeno cercare di cambiare lavoro. Io non sono una persona che potrebbe fare per quarant’anni lo stesso mestiere. E credo che nessuno dovrebbe.
Tutte le foto di questo articolo sono di Alessia Niero. Se vuoi sapere come continua la storia, seguila su Instagram. Oltre a pubblicare bellissime foto in navigazione, nelle stories racconta avventure e disavventure quotidiane, facendo spaccare dal ridere.