Marco è ormeggiato a Fiumara Grande, a Roma. Il motore di Namastè – la sua barca di 8,6 metri – ha qualche problema da risolvere prima della partenza per il giro della Sicilia che racconterà su Bolina.
Marco, come è entrata la vela nella tua vita?
Ho iniziato ad andare a vela relativamente tardi, avevo circa 30 anni. Un amico mi invitò ad andare con lui all’Isola d’Elba e rimasi folgorato. Appena rientrato mi iscrissi a un corso patente e poi cercai dei lavori che mi facessero stare per mare il più possibile.
Prima che lavoro facevi?
Ho fatto cose diverse, principalmente ho lavorato nel sociale per l’inserimento di ex detenuti. Ho avuto anche qualche incarico istituzionale, ma sempre con contratti a termine. Così, più entravo nel mondo della vela più coglievo le occasioni di lavorare per mare, fino a che il cambio è stato completo.

Mi sono imbarcato come marinaio, come skipper e ho lavorato con le scuole vela. Sono diventato istruttore e per un po’ ho avuto anche una mia associazione sportiva. Nel tempo ho iniziato a scrivere e collaborare con le riviste nautiche e ora scrivere è il mio lavoro a tempo pieno.
Sui social network molti ti seguono per i tuoi racconti di navigazione, come hai cominciato?
Quando ho iniziato non avevo grande dimestichezza con i social, ma credo che le persone si siano appassionate alle avventure per mare di una persona che si racconta in modo diretto e semplice, senza schemi né tecnicismi. Ho iniziato a pubblicare con costanza durante la navigazione in solitario Roma-Trieste-Roma.

Da dove è arrivata l’idea della navigazione Roma-Trieste-Roma in solitaria?
Mi è sempre piaciuta l’idea di andare per mare da solo: non ho il mito del marinaio eremita, ma amo mettermi alla prova e fare esperienza. Dopo aver navigato tanto verso le isole del mediterraneo (Sardegna, Corsica, Baleari, ma anche Grecia fino alla Turchia) mi sono reso conto che non sapevo nulla dell’Italia. Ho deciso allora che mi sarei preso del tempo per esplorare le nostre coste. Ho messo da parte le risorse economiche che mi sarebbero servite per stare per mare qualche mese e nell’autunno del 2019 e sono partito da Roma con l’obiettivo di raggiungere Trieste e partecipare alla Barcolana.
Come hai progettato la rotta?
Avevo delle idee, ma sono cambiate durante il viaggio. Per esempio pensavo che avrei risalito l’Adriatico lungo la costa della Croazia perché tutti me ne avevano sempre parlato molto bene e io non c’ero mai stato. Invece l’affetto delle persone che mi aspettavano nei porti mi ha fatto cambiare idea.
Chi ti aspettava nei porti?
Ero partito in solitaria ma condividevo sui miei canali social le tappe del viaggio, le foto dei luoghi e le emozioni di quella navigazione. Mano a mano che avanzavo aumentavano i sostenitori: mi seguivano su internet e venivano anche ad aspettarmi al porto. Mi portavano cibo, mi invitavano a vedere la città, qualcuno mi ha anche aperto le porte di casa e fatto dormire comodo. Mi sono sentito così ben accolto che ho cambiato rotta e in Croazia non sono più andato.
Sei arrivato alla Barcolana alla fine?
La Barcolana era un pretesto per mettermi in viaggio ma sì, alla fine ci sono arrivato e ho partecipato. Il mio arrivo aveva fatto involontariamente notizia e l’organizzazione istituì anche un premio ad hoc per la mia Namastè: la barca più piccola che aveva fatto il percorso più lungo per regatare.

Questa avventura si è trasformata nel tuo primo libro.
Lungo il percorso ho iniziato una collaborazione con la rivista Bolina per raccontare alcune tappe. Scrivere mi è sempre piaciuto e alla fine ho deciso che valeva la pena mettere insieme i pezzi del puzzle, così ho auto-pubblicato il libro: “Roma-Trieste-Roma: Il giro d’Italia di un navigatore de’ noantri”.

Quando poi ho deciso di completare il giro d’Italia con la tratta Roma – Ventimiglia, la collaborazione con Bolina era consolidata e abbiamo curato una nuova edizione mettendo insieme i due tragitti. Resto però molto affezionato al primo libro perché mi ha permesso di parlare a chi come me naviga su barche piccole: è un modo di navigare che spesso viene considerato minore e invece credo sia la base dell’andare per mare.
È questo che intendi con “navigatore de’ noaltri”?
Navigatore de’ noaltri è un appellativo romano che uso per indicare la nautica popolare, quella delle barche sotto i 10 metri per capirci. Un tempo si navigava su barche di 6-7 metri; quando arrivavi a 9 metri eri uno con esperienza, potevi ritenerti soddisfatto. Ora nelle scuole vela si impara a navigare in equipaggio su barche di 12 metri e questo si riflette sul modo di andare per mare. Quando prendi la patente così poi d’estate come fai? Per gestire una barca grande e poter affrontare la spesa del noleggio devi mettere insieme un gruppo di amici: quante volte ci riesci? Così per mare non ci vai più.

Cosa intendi quando parli di nautica sostenibile?
Mi piace raccontare un tipo di vela sostenibile dal punto di vista economico. Chi comincia con la nautica “maggiore” pensa che non potrà mai essere armatore o armatrice, perché richiede sforzi economici superiori alla disponibilità media delle persone. Alla fine anche chi riesce a comprarsi una barca grande spesso si trova a non avere amici e familiari che fanno da equipaggio e sale a bordo solo per il pranzo della domenica.
Io cerco di mostrare tutte le possibilità che offre la nautica “minore”: imbarcazioni più piccole, magari con qualche anno sotto la chiglia, ma che sono alla portata di molti. Basterebbe uscire dall’Italia e vedere i porti francesi o spagnoli con intere famiglie che navigano su 9 metri. Una volta garantita la sicurezza ci si diverte anche con poco.
Da questo approccio arriva il post con cui ti ho conosciuto: l’ode al giretto.
Sì, il giretto in barca della domenica è sottovalutato. Uscire in mare in una giornata qualsiasi, trovare l’armonia con gli elementi e soprattutto con se stessi ha tutta la dignità del mondo, specialmente per chi se la gioca alle prime armi e non ha i mezzi economici per avere vele moderne o l’ultimo ritrovato elettronico. Quando poi acquisisci esperienza ma decidi comunque di restare su una barca piccola, diventa una piccola forma di ribellione.

Le foto di questo articolo sono di Marco Di Gilio che ringrazio per il tempo che mi ha dedicato e per avermi fatto scoprire due interessanti armatrici che intervisterò nei prossimi mesi. Buon vento.