Fabrizio Pizzioli (triestino) e Matthew Hampton Wakelling (australiano-statunitense) nel marzo del 2019 partono da Trieste con meta Hong-Kong, per un viaggio che celebra l’amicizia e la voglia di esplorare il mondo e l’animo umano.
Fabrizio, da dove arriva l’idea di questa rotta?
L’avventura inizia per mantenere viva l’amicizia tra me e Matthew. Ho condiviso con lui il periodo della mia vita in cui abitavo a Shanghai. Questo viaggio è stato progettato con l’idea di festeggiare la nostra amicizia e percorrere la Via della Seta – collegamento tra occidente e oriente – lungo mare. Prima di imbarcarci non avevo grandi esperienze di vela e tutt’oggi non mi definisco un velista. Amo il mare, amo mettermi alla prova, e quello che richiede un lungo viaggio in barca va oltre la tecnica.
Perché non iniziare con un traversata più classica, come quella dell’Atlantico?
Non avrebbe avuto senso per noi. La prima volta che si arriva in Cina ci si sente respinti, si vive in tutti i sensi la condizione di straniero. Nel tempo noi eravamo riusciti a “conquistarla”, a farla diventare casa. L’oriente per noi aveva il significato di rinforzare quel legame, nessun altra rotta sarebbe stata paragonabile.

Come vi siete preparati alla partenza?
Nel 2018 abbiamo comprato e sistemato Nemesis, un Grand Soleil 50. Ci abbiamo lavorato un anno per attrezzarla alla lunga navigazione. Prima di partire abbiamo anche ingaggiato uno skipper professionista che navigasse con noi, finché non avessimo preso confidenza con la gestione della barca nelle lunghe rotte. Nonostante lo avessimo selezionato con cura sulla base delle sue esperienze oceaniche, devo dire che non è stato un grande aiuto. Abbiamo navigato con lui l’Adriatico fino ad arrivare in Grecia, ma visto com’è andata con il maltempo all’uscita dal canale di Corinto siamo stati felici di proseguire da soli.

Dalla Grecia al Mar Rosso. Com’è stato passare il Canale di Suez?
Dopo aver ricucito le vele in Grecia siamo scesi a Porto Said, ingresso del Canale dal lato Mediterraneo. C’è poco di romantico in questi luoghi di scambio: petroliere, cargo, pescherecci, odore di scarichi industriali nell’aria. Arrivavamo da giornate silenziose in perfetta solitudine e il contrasto è stato evidente. Il passaggio del canale si divide in due tratte, si fa tappa alla cittadina di Ismailia. Abbiamo avuto qualche problema burocratico per ripartire da Suez verso il Mar Rosso: sono molto fiscali con i documenti e abbiamo dedicato diversi giorni a dimostrare che la barca fosse veramente nostra, poi siamo ripartiti.

Quei mari hanno fama di essere pericolosi a causa della pirateria. Qual è la tua esperienza?
La zona considerata a rischio inizia all’uscita dal Mar Rosso e arriva fino all’India, ma il pericolo è maggiore vicino alle coste somale. Ci sono delle procedure molto severe per garantire la sicurezza nel Golfo di Aden, tra Gibuti e Socotra. Bisogna mantenere la navigazione entro un corridoio controllato e segnalare ogni ogni ora la propria posizione al UKMTO [United Kingdom Maritime Trade Operations]. Noi non abbiamo avuto brutte esperienze, ma abbiamo incontrato persone che ci hanno raccontato la loro disavventura, per fortuna finita bene.
Com’è la navigazione in Oceano Indiano?
Nel nostro caso le condizioni di vento e corrente non erano ideali, perché il senso di marcia che avevamo scelto era l’opposto di quello in cui di solito si affrontano queste acque. Abbiamo lottato spesso contro venti e correnti sfavorevoli. Ma la navigazione non era l’unico scopo di questo viaggio: ad ogni tappa ci siamo immersi in una cultura lontanissima dalla nostra, con leggi e abitudini che dal nostro punto di vista potrebbero sembrare intollerabili. Se però il senso del viaggio è la scoperta di sé e degli alti, allora si guarda tutto con occhi diversi.

Dal diario di bordo del 24 aprile 2019
“Holy fucking shit!” – questa la reazione di Matt quando vede la scia della barca illuminata di mille stelle fosforescenti, di tutte le dimensioni, come una stella filante. A lato della barca, come dei mortaretti, partono delle strisce luminose che svaniscono nell’arco di una decina di metri. Sono i pesci volanti che spiccando i loro balzi a fior d’acqua, lasciando la scia luminosa dei plancton fosforescenti. È l’apoteosi, il climax dello spettacolo a cui mancano soltanto i delfini che balzano attorno a noi. E difatti eccoli apparire rapidi e silenziosi saltare fuori dall’acqua ,per svanire come spiriti buoni nel buio della notte del mare.”
Lungo la traversata da Socotra a Cochin, in India, non vi è venuta voglia di passare del tempo in quell’angolo di mare paradisiaco delle Laccadive?
Ci siamo passati vicino, eravamo tentati, ma è diverso l’immaginario turistico che abbiamo, filtrato dalla cura dei resort turistici e il vero aspetto di quelle isole esposte al vento. I pescherecci in quelle acque sono un pericolo, non hanno luci di navigazione, non sono segnalati dal radar. Senza contare che gli atolli con barriera corallina nascondono mille insidie per la navigazione. Avremmo potuto fare rotta più a sud, verso le Maldive, ma alla fine abbiamo scelto di non fermarci e concludere la traversata in India.
Sbarcato in India sei rientrato per un periodo in Italia.
Sì, ci abbiamo messo di più del previsto e siamo arrivati in India a maggio, quando stava per iniziare la stagione dei monsoni. Abbiamo ormeggiato la barca al sicuro a Cochin e sono rientrato in Italia.
Seconda tappa: dall’India alla Malesia, 18 giorni di navigazione e un imprevisto mondiale.
Abbiamo ripreso la navigazione a novembre 2019 verso lo stretto di Malacca e abbiamo raggiunto l’isola di Langkawi in 18 giorni di navigazione. La Malesia è il paradiso per chi va in barca ma il 2020 ha fermato i progetti di tutti, anche i nostri. Siamo rientrati e la barca è ancora a Langkawi, speriamo di raggiungerla presto. Nel frattempo l’idea di viaggio è cambiata.
Non avete più come meta Hong Kong?
Dal punto di vista morale abbiamo vinto la nostra sfida, siamo arrivati in Asia. Il viaggio aveva un significato simbolico: volevamo metterci alla prova, passare del tempo in giro per il mondo sfidando le nostre paure, la rotta era una scusa per farlo. Ora dopo questo lungo stop, il mare cinese non è più interessante. Abbiamo deciso di tenere la barca nel sud est asiatico e avere una base per navigare in una bellissima zona che non abbiamo avuto tempo di goderci. Se tra qualche anno si sbloccheranno le rotte verso Australia e Nuova Zelanda, quello potrebbe essere un nuovo progetto davvero stimolante.

Come si concilia il lavoro con un viaggio così lungo?
Ho cambiato tanti lavori nella mia vita. Sono un neuroscienziato, sono arrivato in Cina per fare documentarismo, ma non ci pagavo da vivere. Ho colto l’occasione di aprire un ristorante e sono rimasto lì 5 anni. Poi tornato in Italia ho aperto una sartoria che propone abiti su misura. Il fatto di essere proprietario della mia attività mi ha permesso di potermi prendere del tempo. Per chiudere il quadro diciamo anche che il grosso del finanziamento di questa avventura arriva da Matthew che ha una florida attività nel campo della telefonia.

La famiglia come ha reagito alla partenza?
Gli amici mi davano del pazzo incosciente ma la famiglia era dalla mia parte. Ho due figli che, al momento della partenza, erano già abbastanza grandi per capire e fare il tifo per me (16 e 13 anni). Inoltre per tutto il viaggio il supporto della mia compagna è stato fondamentale. Non solo ha capito il mio bisogno di accogliere questa chiamata all’avventura, ma è anche stata il mio punto fermo in un viaggio con così tante incognite.
Uno dei ricordi più belli della navigazione è legato al nostro comunicare tramite messaggi via satellite. L’invio e la ricezione non erano istantanei come eravamo abituati su WhatsApp. Mi prendevo il tempo per scriverle e di aspettare le sue risposte; l’attesa ha dato valore e profondità alle parole che ci scrivevamo.
Dal diario di bordo del 28-04-2019
“Siamo soli, noi e Nemesis, con i nostri limiti e le nostre imperfezioni, ma anche le nostre piccole sicurezze. E allora non resta che godersi una nottata che ricorderò tutta la vita, correndo sulle onde, respirando l’aria salmastra, le stelle e la solitudine del mare! Fu proprio la curiosità e la meraviglia che condividemmo Matt ed io quando due anni fa, a Rovigo, ci trovammo su un gommoncino preso a noleggio in mezzo al mare, distanti dal casino della terraferma – la vita che ci fagocita – in una pace surreale che c’ha rivelato l’inizio di un sogno che è sbocciato nell’Oceano Indiano!”

Le immagini di questo articolo sono di Fabrizio Pizzioli, che ringrazio per aver condiviso le luci dell’avventura senza ometterne le ombre. Buon vento.