Sono le ultime settimane a terra per Carla, tra poco inizierà la stagione e passerà diversi mesi per mare. Da quello che condivide si capisce subito che il suo rapporto con il mare è profondo, intimo, introspettivo, ma il racconto online si è perso con la sparizione della sua pagina Facebook storica, quindi le chiedo di iniziare la storia proprio dal principio.
Carla, come hai iniziato ad andare per mare?
Era una passione di mio padre, lui ha sempre navigato e fin da piccola amavo seguirlo. Sono nata a Milano, mio padre teneva la barca in Liguria, ma si spostava spesso; è stato tra i primi a fare charter. negli anni ‘80-’90 non era ancora un’attività diffusa come ora. Era anche appassionato di regate e ha fatto parte dell’equipaggio del Victory’83. Stava sempre in giro e io, quando potevo, stavo con lui per mare.

Sui social ti trovo come Tunny, che storia ha questo soprannome?
Mio padre mi chiamava tonno da piccola. Abboccavo a qualsiasi storia mi raccontassero e mia madre diceva: “abbiamo pescato il tonno”. Era un nome molto affettuoso ed è rimasto.
Crescendo non hai scelto subito la vela come professione.
Quando ho conosciuto il mio compagno ero giovanissima. Ci siamo trasferiti in Toscana e abbiamo iniziato ad allevare cavalli, nostra grande passione oltre al mare. In quegli anni è nato nostro figlio. Nel 2006 siamo partiti per una nuova avventura in Catalunya, tra i Pirenei e il mare della Costa Brava, dove ho ricominciato anche a navigare. È stato un pezzo di vita meraviglioso. Nel 2014 un nuovo cambio: ci siamo spostati tra le montagne e il lago di Lugano, dove vivo tutt’ora e mi dedico alla terza mia passione, la mountain bike. In tutti questi spostamenti ho sentito forte il richiamo del mare alla morte di mio padre.

Ti va di raccontare come?
Mio padre è mancato circa 14 anni fa. Tra le cose che ci aveva lasciato c’erano dei grandi bauli pieni di oggetti della sua vita per mare, attrezzatura nautica, cerate. Non ci poteva essere regalo più grande. È scattato come un interruttore: decisi di mollare tutto, prendere simbolicamente questo baule e imbarcarmi.
Il periodo dopo la sua morte per me è stato di grande crisi, non mi davo pace. Sono partita alla ricerca di mio padre e potevo trovarlo solo per mare. Sono buddista e la navigazione mi permetteva di coltivare la speranza di un contatto con lui in un’altra forma. Il mare mi sembrava l’unico luogo dove potessi ritrovarmi e così è stato: sono 14 anni che navigo.
Come hai ricominciato dopo tanti anni di vita a terra?
Mi sono imbarcata come mozzo e ho cominciato stando sottocoperta perché volevo la fatica. Avrei potuto imbarcarmi con tanti amici che magari cercavano un secondo al comando, ma io cercavo proprio la fatica fisica, come se dovessi spurgare qualcosa. Li chiamavo imbarchi fetenti. Ho cominciato così e poi piano piano sono risalita.

Ho navigato sempre un po’ di più, facendo rotte sempre un po’ più lunghe. Avevo un figlio già grande e potevo imbarcarmi anche per mesi. Con il tempo ne ho fatto la mia attività, aprendo anche una piccola società di nicchia per viaggi con approccio spirituale. Ad oggi vengo ancora ingaggiata sulle barche di altri armatori, ma ho anche una barca mia che tengo a La Spezia con la quale organizzo i miei viaggi nel Mediterraneo. Per un periodo, è stata anche la mia casa.
Come sei arrivata all’idea di vivere per qualche anno in barca?
Per necessità. C’è stato un periodo in cui mi sono occupata di una barca che aveva come base Procida. Era molto bella, l’armatore ci faceva solo un po’ di charter in estate, così ho proposto di occuparmi della manutenzione durante gli altri mesi in cambio di poter vivere a bordo. È stata una bella esperienza, da lì ho imparato il gusto di vivere in barca e ho continuato a farlo per qualche anno anche su quella che poi è diventata la mia barca. Da dopo la pandemia non vivo più stabilmente in barca, ma alterno mesi di vita a terra e imbarchi durante la stagione.
Mi racconti il tuo approccio un po’ spirituale al mare e alla natura?
Il filo conduttore di tutti i posti dove ho scelto di vivere è il contatto con la natura, non posso farne a meno. Che sia montagna, mare, collina, per me la natura è la base, io vengo da lì. Il buddismo mi porta ad avere un contatto ancora più profondo con gli elementi ed è quello sento tutt’ora con il mare: un legame fisico e spirituale vero, dove c’è uno scambio.

Il periodo del covid mi ha avvicinato ancora di più alla natura. Ho frequentato poche persone e stando per mare ho assistito alla natura che si riprendeva un po’ di spazio. Quando mi muovevo per manutenzioni e lavoro, vedevo delfini ovunque, gli scogli si erano ripopolati. Avevo la sensazione di essere davanti alla versione di come sarebbe stato il mondo senza gli umani.
Le persone che navigano con te sono affini al tuo approccio?
Mi contattano persone che sono già in linea con il mio stile di vita e di pensiero. Quando porto in barca qualcuno io anticipo sempre che si navigherà con calma: io faccio yoga a bordo, medito, mi muovo con rispetto, non litigo e non alzo mai la voce.
Mi piace provare a mettere in comunicazione le persone con la vera essenza del mare. Porto il mio racconto di vita in barca e le persone entrano in sintonia. Per me occuparmi dell’ambiente significa anche dedicare tempo a raccogliere la plastica per mare e sulle spiagge.

Coinvolgi anche i tuoi ospiti?
Chi parte con con me sa che c’è sempre almeno un giorno dedicato alla raccolta della plastica su una spiaggia, magari in un isolotto dove difficilmente lo farà qualcun altro.
Quando vado sulle spiagge faccio delle piccole costruzioni con le pietre, si chiama stone balancing. È una forma di meditazione, di ricerca dell’equilibrio che è diventata anche un segno distintivo del mio passaggio. Quando le faccio dico: “cercate il tonno” e le persone che mi conoscono se passano e li trovano, mi scrivono.

Per me l’armonia con l’ambiente è fondamentale e mi dispiace quando mi rendo conto che per mare ci sono sempre più spesso skipper poco attenti all’ambiente e alla navigazione, che puntano solo a fare un po’ di soldi durante la stagione, senza insegnare a rispettare le regole di buon comportamento ai loro ospiti. Il Mediterraneo è sempre stato un mare impegnativo e lo sta diventando sempre di più sotto tutti i punti di vista, soprattutto climatici. È importante non abbassare mai la guardia: l’errore umano esiste, ma bisogna essere preparati e attenti, non si può improvvisare.
I tuoi prossimi progetti quali sono?
Ora mi imbarco su un catamarano fino ad ottobre con una pausa ad agosto che passerò su Joy, la mia barca. Forse quest’anno ci sarà anche una stagione caraibica, vedremo. Ammetto però che vorrei cambiare qualcosa: ho 55 anni, sono ancora forte per gestire lunghi periodi e tante fatiche, ma la mia anima protesta e vorrebbe occuparsi di altro. Vorrei smettere di lavorare per mare e tornare a godermelo navigando, esplorando e accompagnando saltuariamente qualche viaggiatore sulle mie rotte. Presto accadrà, è solo questione di tempo.

Le foto di questo articolo sono di Carla Illuminati, che ringrazio per il suo tempo e per la generosità con cui ha condiviso la sua storia.