Mollare tutto e partire in barca a vela: chi non l’ha sognato almeno una volta? Io almeno cento. Ma quando dalla scrivania sogniamo di mollare tutto e andare via, siamo sicuri di sapere cosa desideriamo? Alessandra l’ha fatto e ci racconta alcune tappe del suo viaggio.
Desideravo attraversare l’oceano per capire se andare in barca fosse davvero la mia strada.
La prima volta che incrocio la rotta di Alessandra è grazie a un suo commento in un gruppo di velisti su Facebook. Scrive dalla Polinesia e io muoio dalla curiosità di sapere come ci è arrivata. Così le mando un messaggio. Qualche settimana – e un bel po’ di miglia nautiche dopo – Alessandra è a Bali, ha appena percorso 80 km in motorino e cerca una connessione che sostenga la nostra telefonata. |
Alessandra, partiamo dall’inizio: quanti anni hai, di dove sei e com’era la tua vita prima di partire.
Ho 34 anni, sono di Roma e sono in viaggio da più di 2 anni. Prima di partire avevo una casa in affitto, due cani – che mi hanno lasciata per vecchiaia – e facevo diversi lavori. Cercavo di mettere insieme cose che mi piacevano: avevano tutte a che fare con l’acqua. Per diversi anni ho fatto l’istruttrice di nuoto e ho lavorato in aziende familiari che producevano componenti nautici: una realizzava tappezzeria e carrelli d’alaggio per barche, l’altra componenti in carbonio.
Quando hai iniziato ad andare in barca?
A 18 anni con degli amici. Poi il ragazzo con cui stavo allora, comprò una piccola Alpa 7.40 [barca di circa 7 metri]. Lavorammo un intero inverno in cantiere per ristrutturarla e imparai molto. Non avevamo alcun tipo di strumentazione elettrica o elettronica; anche l’ancora veniva salpata a mano. Direi che l’amore per la vita di mare è iniziato lì.
Qualche anno più tardi partecipai a delle regate e lavorai come marinaio e cuoca per charter e trasferimenti in Mediterraneo.
Mollare tutto e partire: come si fa? Come sei passata dal Mediterraneo all’Atlantico?
Da tempo desideravo attraversare l’Atlantico e capire se andare in barca fosse davvero la mia strada. Volevo provare una navigazione lunga e mettermi alla prova con un mare più grosso e formato. Era finita la collaborazione con una piscina dove insegnavo e mi ero presa un mese di vacanza dall’altro lavoro: quello era il momento perfetto per provare. Ho disdetto l’affitto e avvisato che non sarei rientrata al lavoro dopo le vacanze.
E ti sei imbarcata. Da come lo racconti sembra facile.
Ho trovato un imbarco su un 40 piedi [barca di circa 12 metri]. La traversata ha avuto alti e bassi, gli ultimi 2 giorni di navigazione sono stati impegnativi a causa di una burrasca, ma del resto era quello che volevo. Ci sono state anche delle tensioni nell’equipaggio, ma è una cosa di cui si tiene conto. Sono sbarcata a Saint Lucia e da lì a qualche tempo avrei avuto il mio volo per tornare in italia.
Quindi non era previsto che continuassi a navigare?
No, avevo il biglietto di ritorno in tasca. Niente di quello che è successo dopo era previsto.
Come hai fatto a proseguire?
Degli amici, conosciuti prima della traversata, mi diedero un passaggio fino in Martinica. Dopo circa un mese feci un colloquio per un imbarco semi pagato con un programma interessante: Pacifico e arrivo in Nuova Zelanda con uno stop di sei mesi. Dopo un breve incontro il posto fu mio.

Sei partita per attraversare un oceano e ne hai navigati due.
Esatto: mi sono imbarcata dalla Colombia fino a Tahiti e in quei 5 mesi ho visto alcuni dei luoghi più belli al mondo. Non era un imbarco a pagamento, ma mi ha permesso di allargare il mio giro lavorativo anche alle barche più grandi. Da lì in poi ho inseguito le opportunità di lavoro, facendo un po’ di tutto: stagione turistica in Polinesia, cantiere in Nuova Zelanda e trasferimenti in Pacifico, fino toccare l’oceano Indiano. Mano a mano che facevo esperienza ricevevo offerte di lavoro su barche più grandi e interessanti.
Ora sei in Indonesia, manca poco a chiudere il giro del mondo.
Sì è vero, ma non era un mio obiettivo; il desiderio di chiudere il cerchio è nato quando navigavo nel Pacifico. Di sicuro quando sono partita due anni fa non immaginavo che oggi sarei arrivata qui.

Partire da sola è stata una scelta o una forzatura?
Assolutamente una scelta e devo dire che non mi pesa, anzi, mi diverto molto. Lungo la via c’è sempre qualcuno con cui condividere un pezzo di avventura. Non ho trovato ostacoli o pericoli se non i soliti a cui farei attenzione anche nella mia città. Basta avere l’occhio allenato e guardarsi intorno per evitare di ficcarsi in situazioni sbagliate.
Come risponde il mondo della vela a una donna che cerca un ingaggio?
Diciamo che molto dipende da cosa cerchi, dalle certificazioni e dall’esperienza che hai. Mentre nelle barche più piccole tutti fanno tutto, nelle barche più grandi ognuno ha il suo ruolo e le donne lavorano soprattutto all’interno. Ciò non toglie che ci siano anche comandanti e primo ufficiali donna, se non addirittura interi equipaggi al femminile. Io un po’ di maschilismo l’ho notato, ma ho conosciuto anche comandati che preferivano lavorare con donne. Direi che tutto si può fare, ma in media per una donna potrebbe risultare più difficile, specialmente nel mondo dei grandi sailing yacht.
Che piani hai per il futuro? Se ne hai…
Dopo più di 2 anni si avvicina il momento di tornare in Italia per sistemare alcune cose lasciate in sospeso. Conto però di tornare presto in queste zone, dopo aver comprato la mia barca. La vorrei con una o due cabine in più da charterizzare [portare i turisti in vacanza] per ammortizzare le spese, ma continuerei a lavorare sulle grandi barche. L’ideale sarebbe fare trasferimenti o stagioni di 3/6 mesi, che sono ben pagati, e poi tornare sulla mia barca.
Quindi hai risolto il dubbio che ti aveva fatto partire: navigare fa proprio per te?
Non è sempre tutto facile, ma quando sono in mezzo all’oceano e vedo albe e tramonti belli da togliere il fiato, allora sì, mi ricordo perché voglio stare per mare.

Le foto di questo articolo sono di Alessandra, che ringrazio per avermi raccontato la sua storia, anche stando dall’altra parte del mondo.