Per anni Lucia ha navigato così tanto da non aver bisogno di una casa. Le bastava una valigia per imbarcarsi e un paio di scatoloni depositati un garage. Nel tempo però gli scatoloni con i souvenir di viaggio sono aumentati e hanno reclamato un domicilio fisso, così la comandante ha scelto di naufragare in alta quota.
Ho letto il tuo curriculum e sarà difficile chiederti tutto in una sola intervista.
Oltre ad aver fatto tante cose, sono una chiacchierona e divago. Per rispondere alle domande che mi fanno gli amici ho scritto sei libri. Molte persone trovano la navigazione o la vita nei boschi noiosa, io potrei trasformare ogni giornata in un romanzo. Sono fatta così, vedo sempre il lato interessante e comico delle situazioni, ho sempre vissuto con sportività e ironia.
Iniziamo da quando ti sei appassionata alla vela.
Sono nata a Torino, figlia di amanti della montagna: campeggio, trekking e sci. Con loro non si andava al mare, né in spiaggia né tanto meno in barca. Ho 60 anni e la prima volta che ho scoperto la vela è stato guardando Carosello. C’era la pubblicità di un dentifricio che mostrava una barca su un mare bellissimo (che io vedevo azzurro, anche se la TV era in bianco e nero). Mi è rimasta l’idea che quella dovesse essere una vita bellissima e avventurosa.
La prima volta che provai davvero la vela però fu su una barchetta al lago di Viverone: era piatto e senza vento, avrebbe dovuto farmi passare la voglia. Invece arrivò il vento della Val d’Aosta, gelido e intenso, che se non lo sai gestire ti fa arenare in mezzo alla palude. Decisi che volevo imparare.

Hai iniziato da giovanissima.
Sono arrivata a 18 anni con i soldi per prendere una sola patente: o quella della macchina o quella della barca. Ho pensato che a Torino avrei potuto spostarmi con i mezzi pubblici, quindi scelsi la patente nautica. Quando mi iscrissi c’erano 3 corsi da 50 persone ciascuno, io ero l’unica ragazza.
Una televisione locale era venuta a filmare il giorno degli esami e decisero di filmarmi per far vedere questa rarità. Il presidente della Lega Navale mi suggerì, qualsiasi fosse la domanda, di non bloccarmi e iniziare a parlare anche se non sapevo la risposta, per portare a casa delle buone riprese.
Io avevo finito da poco il liceo scientifico e frequentavo la facoltà di architettura, sapevo cosa voleva dire studiare e questo commento mi sembrò superfluo. Infatti risposi a tutto con così tanta disinvoltura che lo stesso presidente, alla fine dell’esame si complimentò per la mia esperienza e mi chiese di tenere dei corsi. Avere una donna tra gli insegnanti sarebbe stata per lui un’ottima pubblicità. Nella teoria ero preparata, vero, ma nella pratica molto meno. Comunque accettai: insegnare mi veniva bene e alla fine imparai a navigare insieme ai miei allievi.

Com’era l’ambiente della vela negli anni ‘80?
Proporsi sui campi di regata era difficile. Quando chiedevo se ci fosse bisogno di una persona in barca le risposte erano sempre del tipo: “sì, sottocoperta” oppure “sì, a fare i panini”. Io volevo stare al timone, ma era difficile che qualcuno desse fiducia a una donna giovane e con poca esperienza. Così mi misi a cercare uno sponsor. Dopo una lunga ricerca trovai un’azienda di Torino che produceva zaini da montagna a cui proposi di mettere insieme un equipaggio di sole donne. L’iniziativa piacque, perché almeno avrebbe fatto notizia. Un cantiere ci mise a disposizione una barca di 11 metri che per colpa di un difetto di fabbricazione era asimmetrica; probabilmente pensavano che anche se fossimo andate a scogli non avrebbero perso un granché.
Come andò con quell’equipaggio?
Come prima regata ci iscrivemmo alla Rimini-Corfù-Rimini. Non c’erano GPS o cellulari , si comunicava con la radio VHF, che ha una portata limitata. Dopo due chiamate non risposte gli organizzatori ci diedero per disperse e iniziarono a pensare a un recupero in Albania. Peccato che noi fossimo già in banchina: arrivammo seconde! Poco dopo vincemmo la Giraglia e, con un’amica, la Cinquecento per due. Da qui divenne tutto più facile: non eravamo più solo un fenomeno curioso. Vincevamo e attiravamo l’attenzione degli sponsor.

E i tuoi studi in architettura?
All’università scelsi di passare ad architettura navale e mi laureai a pieni voti al Politecnico di Torino. Partecipando ai raduni di barche d’epoca riuscii a farmi conoscere in quell’ambiente e specializzarmi nel restauro di barche in legno con armo aurico, le mie preferite ancora oggi. Trovavo barche d’epoca da restaurare per armatori facoltosi, ricostruivo l’armo, seguivo i lavori in cantiere e mi veniva affidato il comando. Iniziai così i primi ingaggi su barche importanti.
Per carattere sono portata per la vita da cantiere e per mare, non amo molto stare in porto. Visto che le barche d’epoca d’inverno restano ferme, ne approfittavo per imbarcarmi per traversate o trasferimenti.
Qual è il tuo rapporto con l’oceano?
Ho fatto 14 o forse 15 traversate oceaniche, alcune in regata, altre per trasferimenti. La navigazione più lunga è stata di 55 giorni, la più corta di 13. Quando mollo gli ormeggi e non vedo più terra intorno mi sento a casa. Ci sono io con l’equipaggio, la barca, il ritmo del mare: è la mia avventura preferita.
Negli anni ‘90 ho partecipato alla Quebec Saint-Malo in equipaggio di tutte donne su un 60 piedi open. Quando lo racconto sembra una barzelletta perché c’erano un’italiana, due francesi, un’americana, … Acqua a 5 gradi, punte di vento a 60 nodi e onde di 12 metri. Ricordo aurore boreali pazzesche e blocchi di iceberg che scintillavano alla luce della luna. Ricordo anche la pelle macerata per giorni di tempesta passati sempre con la muta addosso e i rumori assordanti sottocoperta che non mi facevano dormire. Ricordo tutto volentieri, sono momenti che mi sono goduta fino in fondo.

Fino a quando hai fatto questa vita?
Non ho mai smesso del tutto, ma c’è stato un periodo in cui si diceva in giro che mi fossi ritirata, perché non mi si vedeva più né alle regate, né ai raduni delle vele d’epoca. In realtà stavo partecipando al World Yacht Rally, cioè venivo pagata per fare la skipper su barche private che partecipavano al giro del mondo. Su una barca ho fatto un giro completo, su altre sono salita a chiamata per i tratti più impegnativi. Questo lavoro mi ha permesso non solo di navigare, ma anche di vedere un po’ di mondo che non conoscevo: la Polinesia, l’Australia, il Brasile fino a risalire il Rio delle Amazzoni. Ho passato tre volte il canale di Panama e navigato nel Mar Rosso passando il canale di Suez.

Con tutto questo navigare come hai deciso di abitare in montagna?
Per tanti anni ho vissuto sulle barche dove lavoravo, non mi serviva una casa. Quando avevo dei periodi di pausa tornavo a Torino dai miei genitori, dove lasciavo un paio di scatoloni con le mie cose. Nel tempo però ho accumulato davvero tanti souvenir di viaggio e ho iniziato a pensare che sarebbe stato bello avere un posto per tenerli. Sognavo una casa con un giardino.
La ricerca di questo tipo di casa sulla costa della Liguria o della Toscana durò poco: il mio budget non era neanche vicino a quello che serviva per avere un cortile in quella zona. Allora mi venne in mente la baita di mio papà nelle Valli di Lanzo. Per me è sempre stato un luogo magico, dove andavo d’estate con la nonna e che per me rappresenta la libertà.

Grazie alla mia esperienza da cantiere ho imparato a lavorare il legno e ho restaurato io stessa la baita per andarci a vivere. Con il tempo ho comprato un’altra piccola baita lì vicino e costruito un altro annesso, dove faccio anche accoglienza con un B&B. Non è un posto molto turistico, ma alcune persone leggono il mio curriculum e si incuriosiscono. Non è la classica casa di montagna: ai muri ci sono delle maschere africane, in giardino inciampi in un’elica, la porta è quella di una nave. È un posto particolare, che ha assorbito la mia personalità.
In questo periodo che cosa stai facendo?
Negli ultimi anni mi sono occupata del cantiere della Tirrenia II, una barca d’epoca che avevo già restaurato 25 anni fa e di cui ora sono comandante. Al momento passo una settimana a casa e una a Viareggio: lavoriamo per la rimessa in acqua e poi partirò per la stagione in mare.

Hai un consiglio per chi – come me – vuole imparare a navigare?
Non serve per forza iniziare con la patente, si può cominciare andando semplicemente per mare, fare le vacanze con una scuola vela. Chi ha tempo può imbarcarsi facendo qualsiasi lavoro e poi darsi da fare. Soprattutto consiglio di partire con gente sconosciuta, per non ricadere nei soliti ruoli e provare sempre a mettersi in gioco su cose diverse. La mia esperienza dimostra che nella vela ormai non è più una questione di forza fisica, ma di intelligenza nell’usare gli strumenti che si hanno a disposizione.
Le foto di questo articolo sono di Lucia Pozzo, che ringrazio per il racconto e i consigli. Buon vento.