Dopo essere passati attraverso una pandemia credo che siamo tutti un po’ più esperti di cambiamento, ma Francesco pare ne abbia fatto una missione. Il piano B l’ha già superato, ora va oltre il C, a caccia di D E e F.
Francesco, vivi tra camper e barca. Ti occupi di viaggi, musica, fotografia e – a sorpresa – scopro che sei ingegnere. Inizia da dove vuoi e fammi capire.
I miei interessi si sono moltiplicati quando da Massafra in Puglia mi sono trasferito a Bologna per studiare ingegneria e ho scoperto la musica. In generale questa città ha un panorama culturale e artistico stimolante e che ti si attacca addosso, difficile abitare a Bologna e non restarne travolti. All’inizio il conflitto era tra studio e vita artistica. Quando ho scoperto la vela è diventata una lotta tra lavoro d’ufficio e libertà.
Quindi hai iniziato da un ufficio anche tu?
Più o meno. Appena laureato ho iniziato a lavorare per aziende che si occupavano di energia rinnovabile, pensando di dare un risvolto etico alla parte tecnica, ma quel mondo si è rivelato meno stimolante di quello che speravo. Sono passato poi al classico studio tecnico, ma sempre difendendo la mia autonomia. Ho rifiutato fin da subito proposte di lavoro a tempo indeterminato e preferito la partita iva. La musica mi portava ad avere orari e spostamenti che non sarebbero andati d’accordo con un cartellino da timbrare. Insomma, fin da subito ho scelto la precarietà e tutt’oggi continuo a rifiutare la stabilità dal punto di vista lavorativo.

Come hai scoperto la vela?
L’ho scoperta da grande, qualche anno fa. Ero venuto a sapere di un festival che viene organizzato ogni anno nell’isola di Othonoi in Grecia: le barche partono dall’Italia ospitando degli artisti e all’arrivo sull’isola le serate sono una bellissima festa che unisce mare, musica e amicizia. Quando partii non ero mai salito in una barca a vela, ma me ne innamorai subito. L’anno successivo passai l’estate ad aiutare gli organizzatori durante la navigazione e iniziai a imparare. Rientrato a casa avevo già progettato il mio percorso per diventare armatore. Un anno dopo presi la patente nautica, quello successivo comprai la mia barca: un Bavaria 42 piedi del 2000, dal gusto un po’ retrò. Una barca comoda perché nei miei progetti c’era già l’idea di farla diventare un giorno la mia casa.

In tutto questo andare e tornare avevi una casa?
A Bologna vivevo in appartamento ma lo sentivo come un vincolo e ad un certo punto decisi che, anziché pagare l’affitto, avrei pagato le rate per acquistare il mio camper. Così da qualche anno passo l’inverno in camper nella zona di Bologna, dove lavoro, e i mesi estivi in barca al sud. Con il tempo spero di allungare sempre di più il tempo che passo in barca.
Come fai a rendere sostenibile questo stile di vita?
Non ti nascondo che è complicato. Al momento sono organizzato così: nei mesi invernali prendo accordi con le aziende per delle collaborazioni che finiscono a primavera. In pratica è un part time su metà anno. Finora ci sono sempre riuscito perché ho trovato delle aziende che hanno accettato queste condizioni, ma il problema è essere preso sul serio. Chi non mi conosce può confondere il mio stile di vita con mancanza di serietà e professionalità.
In futuro sarà più facile quando, compatibilmente con le normative, riuscirò a guadagnare dalle attività in barca. Finora per guadagnare ho utilizzato la mia laurea, ma sono sempre aperto ai piani B e C. Ma anche D E F. La combinazione camper e barca è ottima, ma spero che un giorno diventi preponderante la barca . Per ora a Bologna, che è ancora il centro dei miei interessi lavorativi, il mare non c’è.

Conti alla mano, la vita che fai ora ti costa di più o di meno che la classica combinazione affitto+bollette+rate del condominio?
La vita in camper è decisamente economica. Con l’aggiunta della barca invece la spesa è simile a quella di una vita più classica. Ci sono le rate, la manutenzione, il posto barca. Se avessi finito di pagarla sarebbe più semplice. Nel complesso la vita può diventare più economica e più ecologica perché si consuma meno. Sia sul camper che sulla barca ho installato i pannelli solari perché cerco di essere il più possibile indipendente ed eco-sostenibile. Inoltre con questo stile di vita si impara a gestire molto bene e in modo razionale sia il consumo di energia che di acqua. Anche gli ospiti che passano qualche giorno con me acquisiscono dei comportamenti virtuosi che poi trasferiscono anche nella vita quotidiana.
Cosa dicono famiglia e amici di queste scelte? Le capiscono?
Ho educato la mia famiglia nel corso degli anni. Erano abituati al figlio modello, quello che andava bene a scuola e che non dava problemi. Con la scelta di ingegneria non si aspettavano colpi di testa. E invece… Lo scontro più duro forse è stato quando ho intrapreso il cammino della musica. Dopo questa e il camper, quando ho comprato la barca è stato quasi un applauso, perché almeno mi avvicinavo all’idea poetica del marinaio e della vita di mare. Inutile dire che con la barca gli amici sono ancora più amici.

Il camper invece è percepito in modo molto diverso, viene associato a uno stile di vita trasandato e poco igienico. Le persone che mi vedono arrivare in camper spesso mi offrono di entrare in casa per fare una doccia. In realtà io sono organizzatissimo e ordinato. Qui la mia formazione ingegneristica ha aiutato. Quando lavoro a Bologna esco dal camper vestito bene, con la camicia e la borsa da ufficio. Le persone si stupiscono perché gli stereotipi esistono e sfatarli è difficile.
La vita nomade è un ostacolo per le relazioni?
Chi ha una relazione con me sa quali valori ci sono dietro le mie scelte, magari per loro è difficile poterlo raccontare ad amici e familiari. Io non ho figli e attualmente non ho una compagna e mi rendo conto che una scelta di vita di questo tipo complica molto le cose.
Tra tutti i vari temi che questo stile di vita ti porta ad affrontare c’è anche questo e sono consapevole che probabilmente porterò avanti il mio piano da solo. È difficile trovare una persona che accetti tutta questa mobilità, l’incertezza, la mancanza di un punto fermo.
La ricerca della libertà è il motore che accomuna tutti quelli che hanno fatto una scelta non convenzionale. Cose significa per te essere libero?
È un concetto molto complesso sul quale c’è un cammino, un percorso molto impegnativo da fare. Non c’è un click che mi fa dire: ora sono libero. Per me è una competenza che va studiata, capita, praticata e sviluppata nel tempo. La teoria può essere romantica, ma la pratica è difficile. La libertà non è solo dove sei e cosa fai; si collega a tutti i temi del vivere, dal lavoro a come ti comporti con gli altri.

Dove hai passato il lockdown?
Era inverno, quindi mi trovavo in camper a Bologna per lavorare. Tutto è andato bene fino a che non hanno chiuso i transiti tra i comuni. A Bologna avevo il lavoro, ma per raggiungere un camper service dovevo andare nei paesi limitrofi. Con i confini comunali chiusi non potevo caricare acqua pulita e scaricare quella sporca. Avevo un’autonomia di una settimana. Senza contare che nell’autocertificazione bisognava indicare il proprio domicilio. Io ho residenza in Puglia ma non ho domicilio, quindi risulta che io sia costantemente in giro. Mi sono sentito un po’ come Tom Hanks nel film The terminal. Alla fine un’amica mi ha ospitato fino allo sblocco dei comuni.
In quel periodo è nato il progetto Tourists For Future, me lo racconti?
Da un giorno all’altro mi sono trovato senza lavoro perché le collaborazioni esterne dell’azienda sono state le prime a saltare. Come me era senza lavoro anche Valentina, un’amica che fa la guida escursionistica all’estero e le ho fatto una telefonata per sentire come stava. La classica telefonata giusta al momento giusto. Valentina e altre tre guide nella sua stessa situazione, avevano avuto questa idea di percorrere l’Italia in modo sostenibile, dal sud al nord, 20 regioni. Erano alla ricerca di una soluzione per spostarsi via mare e la mia barca si è rivelata la soluzione perfetta. Ho accettato subito di aiutarli a patto che mi portassero con loro in tutti e tre i mesi di viaggio. Ora non svelo tutto ma ci sarà una parte dedicata al mare e ci sposteremo sulla mia barca e poi via terra a piedi, in bici, in treno.
Un progetto nato in un momento complicato.
Eravamo tutti accomunati dal fatto di aver perso il lavoro e abbiamo provato a trasformare questa perdita in un’opportunità non solo per noi ma per il settore del turismo, in particolare quello sostenibile. Chissà che ad ottobre, alla fine del percorso, non ci sia qualche svolta e si apra qualcuno di quei piani D, E, F… Alla fine l’obiettivo è sempre quello di trovare l’equilibrio tra il vivere a pieno e i soldi che servono per farlo. È una lotta durissima ma io sono molto motivato a trovare una soluzione.

La foto di copertina è di @gianluigidinapoli. Ringrazio Francesco della chiacchierata e degli spunti. Siamo tutti su rotte diverse verso la libertà.