Sara è il secondo in grado sulla Freya, barca che da anni solca i mari sotto il comando di Omero Moretti. Tra quelli che come me sognano una traversata atlantica, Omero è una leggenda. Se non lo conosci ti consiglio di andare a curiosare sul suo sito o leggere il suo libro.
Il blog però, lo scrive Sara. E senza nulla togliere al comandante, Sara è la mia preferita.
Sara, nel blog ufficiale di Omero si legge poco di te. Hai voglia di raccontarmi cosa facevi prima di dedicarti alla vela?
In Italia ho studiato scienze internazionali e diplomatiche, indirizzo economico. Ho lavorato come consulente per la programmazione economica, ma dopo qualche anno di questo lavoro non ero più sicura che fosse la mia strada. All’inizio ho pensato che l’Italia non fosse il contesto giusto e ho colto l’occasione di andare negli Stati Uniti. Magari un ambiente diverso avrebbe riacceso la passione per il mio lavoro.
Con una borsa di studio alla Columbia University mi sono trasferita a New York. Durante il master, grazie a un progetto che avevo preparato con il professore di statistica di cui ero assistente, sono entrata a far parte del gruppo di lavoro dell’ufficio del sindaco della città di New York. Era un bel lavoro, altamente professionalizzante, ma l’insoddisfazione restava. Manhattan è un’isola, è si era accentuata in me la sensazione che stessi correndo molto per non andare da nessuna parte. La grande metropoli non aveva risolto la mia crisi, anzi, ne aveva accelerato le conclusioni: ero inserita in un mondo di cui non riuscivo a condividere lo scopo.

Sei rientrata in Italia?
Ho iniziato a meditare un cambiamento, ma senza sapere esattamente dove andare o cosa fare. Sono rientrata in Italia e, complice anche una perdita in famiglia, ho iniziato a capire che desideravo costruire un futuro solo mio, che non dipendesse dalle decisioni di altre persone.
Quando entra in gioco la vela?
A 35 anni decisi di regalarmi la prima tratta di Oceano: Malaga-Canarie. Mi ricordo benissimo la notte in cui è entrato quello che chiamano l’aliseo portoghese. Ero in cuccetta a dormire e ho sentito la barca che vibrava e cambiava assetto. Sono uscita e lo skipper aveva tangonato il genoa per prendere il vento in poppa. C’era questa barca in mezzo all’Oceano che praticamente volava, con la scia del plancton luminoso dietro. Da quel momento non c’è stato più niente da fare per me: ero innamorata.
Vittima del fascino dell’Oceano…
Infatti. Dovevo scendere a Lanzarote, ma sono rimasta a bordo fino ai Caraibi. Durante la traversata ho conosciuto Omero via radio, e poi l’ho incontrato ai Caraibi. E i puntini si sono uniti.
Quell’anno Omero era arrivato ai Caraibi portando la barca di un cliente, quindi dopo poco ritornò alla Freya che era in cantiere. Al rientro l’ho chiamato per sentire se aveva bisogno di una mano. Avrei potuto fare scuola vela ovunque, ma imparare com’è fatta una barca, smontandola e rimontandola, era un’occasione unica per poterla capire e vivere fino in fondo. A fine cantiere Omero mi propose di accompagnarlo nel trasferimento dalla Toscana alla Sardegna; io ho buttato il borsone a bordo e non sono più scesa.

In questo cambio di vita qual è stata la cosa più difficile?
La parte emotiva. Molti si concentrano sulla parte economica. Come hai fatto con i soldi? Non nego che sia importante, ma non è una condizione sufficiente: quanti hanno la possibilità economica, ma non cambiano vita? In questo salto nel buio ero attorniata da persone che criticavano la mia scelta di tornare in Italia.
Lo so bene di essere stata anche fortunata: avevo dei risparmi da parte e una casa di proprietà. Ma il momento importante è stato quando mi sono resa conto che, qualsiasi cosa dicessero gli altri, io me la sarei cavata. Certo, rinunciavo al prestigio, ma nessuno dipendeva da me e avrei fatto senza problemi qualsiasi lavoro pur di seguire la mia strada. Quindi è stato difficile andare avanti, ma mi sono concentrata su quello che mi faceva bene.
Tra tutte le immagini che usi quando scrivi, mi ha colpito quella del mare che guarisce.
Sì, per me è stato così. La traversata mi ha portato a fare un cambiamento psicologico che è stata la mia vera guarigione. Ho imparato a essere assertiva, a fidarmi del mio istinto. In mezzo al mare, senza distrazioni, è più facile arrivare in fondo ai pensieri. E quando arrivi in fondo, poi ti perdoni. Il mare ti insegna che è normale avere debolezze o paure, l’importante è affrontarle.
L’altra cosa fondamentale che ho scoperto grazie al mare è il piacere di una vita semplice. Quando sei lì le cose da fare sono poche: devi far andare la barca, essere riposato quando tocca a te, essere in forma per dare il tuo contributo, fidarti delle altre persone. Sono tutte cose che a terra diventano complicate, mentre per mare sono naturali.

Ora che vivi in barca come trovi un po’ di casa tua, un po’ di intimità?
Mi rifugio sotto al fiocco! Scherzo, ma è stato anche questo un grande cambiamento. Io venivo da un contesto in cui il rapporto più intenso che avevo era con i file Excel. Incontrare ogni settimana persone diverse non è stato facile. Poi Omero un giorno mi disse: “Le persone si comportano in relazione a come tu ti comporti con loro. Sii tranquilla, sii aperta.” Aveva ragione.
Hai ancora una casa in terraferma?
Sì e la apprezzo, soprattutto per due cose: il bagno e il gusto di andarsene via.
Il ruolo del secondo in barca non ti sta stretto?
Io sulla Freya posso fare tutto, tranne andare in cucina, quello è il regno di Omero. A parte gli scherzi, il comandante è lui e io sono fieramente il suo secondo. È una posizione che, per durare nel tempo, deve essere voluta. Nella maggior parte dei casi il secondo potrebbe benissimo fare il primo: ha titoli ed esperienza, ma sceglie di non farlo.

Per me è stato difficile da accettare all’inizio. In questo periodo storico sembra quasi che per essere una donna sicura e affermata bisogna aspirare a una posizione di autorità. In barca ho cambiato punto di vista. Ho superato lo stereotipo uomo al comando + donna al suo fianco. In barca serve un comandante e un marinaio. Indipendentemente dal genere.
Come ti senti ora? In equilibrio o ancora in trasformazione?
Ancora in trasformazione. Ero una persona molto impaziente ma il mare mi ha insegnato che il cambiamento è una costante: bisogna distinguere tra le decisioni che vanno prese subito e quelle per cui è meglio aspettare. Ho dei progetti, ma per ora aspetto.

Le foto di questo articolo sono di Sara, che ringrazio per aver condiviso luci e ombre della sua scelta. Spero di incontrarti presto in mare. Buon vento.