Il giro del mondo in barca è un sogno che spesso si scontra con la realtà. Molti vorrebbero farlo ma c’è il lavoro, la famiglia, gli impegni. Per realizzarlo bisogna per forza mollare tutto? Giovanni ha trovato un’alternativa: fare in giro del mondo a tappe. La sua barca lo aspetta e lui, appena può, la raggiunge e la sposta un po’ più in là. L’ha chiamato il sogno sostenibile e in questa intervista mi sono fatta raccontare com’è nata questa idea.
Giovanni, ci racconti com’è iniziato il tuo viaggio?
È iniziato con un sogno che ho sempre avuto, fin da piccolo: esplorare il mondo. Crescendo sono arrivate le responsabilità, ma il sogno è rimasto. Avevo un lavoro, due bambini piccoli e non ho mai considerato la possibilità di partire lasciando tutto e tutti. Non mi davo pace, cercavo una soluzione ma non la vedevo e ho passato dei momenti bui. Poi mi sono concesso quello che, all’inizio, credevo fosse un compromesso: magari non sarà il giro del mondo, ma prima di morire un oceano lo voglio fare! Quindi il primo obiettivo è stato attraversare l’Atlantico.
Come ti sei organizzato?
Mi sono detto: noi ogni estate facciamo una vacanza – Grecia, Sardegna, … – stavolta propongo alla famiglia le Baleari così in agosto porto avanti la barca. Alla fine mi è bastato aggiungere 10 giorni per passare dalle Baleari alle Canarie con mio fratello. Da lì la barca era pronta per il grande salto a novembre. Tutte le scelte che avevo fatto nella mia vita erano state orchestrate per arrivare a quel momento lì.

Che cosa ti serviva per partire?
Fin nei miei sogni di bambino sapevo che l’ostacolo più grande sarebbe stato il lavoro. Io sono un musicista, un pianista. Lavoravo come insegnante in una scuola di musica e il primo passo che ho fatto è stato fondare una scuola mia, per lavorare per me e gestire il mio tempo. Mi ci sono buttato anima e corpo, non perché avessi velleità da imprenditore ma perché era necessario. Come dovevo aggiustare la barca perché fosse adatta a girare il mondo, così dovevo aggiustare il lavoro perché fosse adatto a me e ai miei desideri. Ho impostato la mia scuola di musica in modo da poter contare su persone valide che avrebbero fatto funzionare tutto anche se io mi fossi assentato 4-5 settimane. Mi sono poi accorto che questa passione che mi spingeva a organizzare il lavoro, l’ho passata ai miei collaboratori: tifavano per me e hanno fatto tutto il possibile perché io partissi sereno.
E i tuoi bambini?
Questo è l’altro aspetto complicato da gestire. È un braccio di ferro con i sensi di colpa e se per caso non ne hai già abbastanza si aggiungono quelli che cercano di farti venire gli altri. I sensi di colpa sono una nebbia che offusca la verità: quanto tempo ci vuole per fare la traversata? Tre settimane, un po’ di più per organizzare partenza e arrivo. Cosa succede se mi prendo questo tempo per realizzare un sogno che coltivo da una vita?
Non lo so, dimmelo tu, mi interessa!
Non succede nulla. Non solo non muore nessuno, ma al rientro i bambini hanno in casa un genitore felice, energico che trasmette loro gioia di vivere e coraggio per realizzare i propri sogni. Nel mio caso sono riuscito anche a coinvolgerli. All’inizio non sapevo cosa avrei fatto della barca una volta arrivato ai Caraibi, avrei potuto venderla, in fondo avevo realizzato la mia impresa.

Invece l’hai tenuta?
L’anno successivo ho proposto ai bambini di fare le vacanze di Natale ai Caraibi, per vedere l’isola dove era stato Jack Sparrow. Erano entusiasti. Da lì in poi sono stati loro a chiedermi: la prossima volta dove andiamo? Era come avere una casa delle vacanze itinerante: papà la sposta e i bimbi la raggiungono. Sembra incredibile ma era anche conveniente.
In che modo può essere conveniente?
Per tenere la barca qui vicino a Roma spendevo 5000€ all’anno. Tenerla ai Caraibi mi costava 1200€. Così invece di affondare la barca o venderla abbiamo continuato le nostre vacanze di Natale. I vantaggi cominciavano a essere tanti: risparmiavo sull’ormeggio, mi rimanevano i soldi per comprare i biglietti aereo e i miei figli, invece che avercela con me, erano contenti di partire insieme a caccia di avventure.
Quindi la famiglia partecipava al tuo progetto?
Sì, il mio sogno, che rischiava di essere una cosa solo mia, che mi portava lontano dai figli è diventato parte del nostro rapporto. Con mia moglie c’erano altri motivi di disaccordo che hanno portato poi alla separazione, ma non per colpa della barca. Anzi devo dire che all’epoca è stata la persona che mi ha capito di più. Ha navigato a bordo di Papayaga con me e i bambini anche dopo la separazione e si stava bene.

Quanto è rimasta la barca ai Caraibi?
Dopo 3 anni ai Caraibi siamo andati in Venezuela a Los Roques – un posto meraviglioso – poi in Colombia e quindi Panama. Durante tutto questo tempo avevo maturato l’idea di passare nel Pacifico. Sapevo che la traversata sarebbe stata più lunga, ma a quel punto i bambini non avevano più 8/9 anni ma 18/19. Anche la scuola di musica non era più alle prime armi ma ben consolidata. Potevo quindi pensare di prendermi più tempo per navigare. Nel 2014 ho attraversato il Pacifico e sono arrivato in Polinesia.
Il sogno, raccontato così, sembra molto più tangibile.
Il sogno di solito è uno stacco dalla realtà. Quando ti danno del sognatore c’è spesso un’accezione negativa, da Peter Pan che non vuole crescere. Leggevo di questi personaggi che partivano e mollavano tutto, ma non mi ci ritrovavo. Non avrei voluto per me quello stile di vita perché io ero contento di fare musica, del mio lavoro, di stare con i miei figli. Non volevo rinunciare alla mia vita qui. Però avevo un sogno un bel po’ prepotente, perché voler fare il giro del mondo non è come sognare di comprarsi la moto. La cosa entusiasmante, di cui mi sono accorto solo strada facendo, è che il mio giro del mondo a tappe non è un compromesso o un ripiego, come credevo all’inizio.
C’è dell’altro?
Chi vive anni nei Caraibi, non vede l’acqua come la vedo io dopo otto mesi che sto a Roma. Quando io posso partire per la mia vacanza, ho gli occhi pieni di meraviglia: che colori, che pesci, che profumi, impazzisco di felicità! Era un sogno e lo è ogni volta. Tornare alla mia vita mi permette di mantenere vivo il desiderio del sogno quando sto navigando. Ma vale anche il contrario.

Dopo qualche mese di vita da barca, di piccole riparazioni e questioni pratiche quotidiane, ho proprio voglia di tornare a Roma, progettare il mio lavoro, organizzare concerti. Ho più idee e voglia di realizzarle. Il sogno fa bene anche alla mia vita normale. Per questo lo chiamo il sogno sostenibile, perché è realizzabile e si può integrare alla vita di tutti i giorni.
Prossime rotte?
Ora con il problema corona-virus, la mia barca è bloccata in Australia. È in secco e spero di raggiungerla presto, dovrebbero aprire i voli nel 2021. Non ho un piano preciso, ma non ho certo fretta di finire il giro e se lo finirò troverò un modo diverso per rifarlo. Le prossime rotte potrebbero essere i mari del nord: Groenlandia, Canada, Alaska. Ma va bene anche al sud, l’importante è avere voglia di esplorare.
Con chi le condividerai?
Ho incontrato Letizia a un corso di violino nella mia scuola. Quando abbiamo iniziato a frequentarci la prima cosa che ho fatto è stato condividere con lei la mia barca e siamo andati insieme a Panama. Quello che è successo da lì in poi lo abbiamo sviluppato insieme. Dopo poco è arrivato Gabriele, che ha fatto il suo primo bagnetto a otto mesi a Bora Bora; prima dei due anni aveva già visto squali e balene. Ora ne ha sei.
A quindici vorrà stare sotto l’ombrellone a Rimini con gli amici.
Sicuro! O magari vorrà andare in montagna! È normale e salutare. Sono però convinto che quello che si semina, con il tempo cresce.

Dopo aver chiacchierato con te, anche il mio sogno di cercare imbarco per una traversata oceanica sembra più fattibile.
Fare l’Oceano non è una cosa tecnicamente difficile, è più una questione filosofica, di preparazione e capacità di stare con sé stessi, di gestire il tempo da soli. È una cosa che chi non capisce ci prende per matti: cosa fai là in mezzo? non c’è niente da vedere! Invece noi lo sappiamo, è bellissimo.
Tutte le foto di questo articolo sono di Giovanni Malquori. Se vuoi approfondire i dettagli del viaggio, Giovanni ha raccolto i diari di bordo nel libro Il sogno Sostenibile, edizioni il Frangente. Te lo consiglio, io mi sono emozionata più di una volta leggendolo. E per seguirlo nelle prossime rotte c’è il suo sito o la pagina Facebook.