A Filicudi arriviamo di sera, dopo una navigazione intensa, di quelle che io non avevo mai fatto prima. Barca sbandata, vele ridotte e la prua che sale sulle onde. Poi scivola giù dall’altra parte, sollevando spruzzi che al sole diventano arcobaleni.
Dopo qualche ora di vento in faccia, il pensiero di sedersi al tavolo di un ristorantino colorato mi sembra un lusso incredibile. E non devo essere l’unica a pensarla così, visto che davanti alla scritta Hotel Sirena, con il tempo, hanno aggiunto un Grand, altrimenti non rendeva bene l’idea.

Resta da decidere dove ormeggiare per la notte. Ci sono due approdi sull’isola. Il lato del porto è troppo esposto al vento; le previsioni non annunciano nulla di buono, per stanotte non va bene. Dalla parte dell’Hotel Sirena invece le boe sono tutte occupate.
“Non c’è posto, dovevi chiamare prima!” ci urla Giovanni dal molo. Si chiamano tutti Giovanni da queste parti. In qualsiasi porto, se urli abbastanza forte “Giovanni!”, qualcuno risponde.

In rada non c’è riparo: l’isola è piccola, il vento la abbraccia da tutti i lati. Il fondale non aiuta: è roccioso e scende in fretta, l’ancoraggio non è sicuro. E ora?
Indugiamo qualche minuto al pensiero di quella cena, solo immaginata. Il tempo di un sospiro e la delusione se ne va. È il mare che comanda, che ci organizza le giornate e noi siamo qui per questo: a volte per farci cullare nella noia dell’attesa, altre per farci schiaffeggiare dal vento degli imprevisti.
La prua di nuovo verso il mare, ci lasciamo alle spalle Filicudi e torniamo in fretta verso Lipari, che ha un posto sicuro per noi. Inizia a fare buio e ci prepariamo per la nostra serata fuori a ballare. Giacche, giubbini e occhi aperti. A nord una luna quasi piena illumina il mare ormai nero; a sud i lampi del temporale rischiarano a intermittenza la visuale sulla Sicilia.
Ci si sente così piccoli in barca. Un puntino, in mezzo alla potenza degli elementi. E io, su questo puntino, so di essere nel posto giusto.