Fare il giro del mondo in barcastop: Alberto è stato uno dei primi italiani a scoprire questo modo di viaggiare. Nel 2005 si licenzia, fa il giro del mondo chiedendo passaggi alle barche e dopo un anno esatto rientra a Milano per riprendere le fila della sua vita.
Se non hai già letto il suo libro Il giro del mondo in barcastop te lo consiglio: puoi iniziare da li o passare prima dal mio articolo. Con questa intervista ho voluto farmi raccontare qualcosa di più sul prima e dopo la sua avventura.
Che esperienza velica avevi prima di partire?
Avevo preso la patente, che è una delle cose classiche in Italia: prima prendiamo la patente e poi impariamo ad andare in barca. Avevo scoperto la bellezza di navigare con gli amici, ma non mi rendevo conto di quante cose dovevo ancora imparare.
Cosa occorre saper fare per chiedere un passaggio a una barca che attraversa l’oceano?
Dal punto di vista velico quasi nulla. Serve sapere che cosa significa fare qualche giorno di mare senza mai sbarcare, gestire l’eventuale nausea e magari aver già provato a condividere spazi ristretti con altre persone.
Un capitano che ti accoglie nella sua barca non ti chiederà quasi nulla. Non ha bisogno di imbarcare un velista o un marinaio, è già attrezzato per fare tutto da sé. Ha probabilmente più bisogno di avere compagnia o qualcuno che può fare dei turni quando lui riposa. Le cose più apprezzate sono essere una persona gioviale e saper cucinare.
C’è una frase che ho trovato spesso nei diari di viaggio. Anche nel tuo libro, quando chiedi ad Alfredo “Perché sei partito?”, lui risponde: “Non lo so.”
Tu sapevi perché partivi?
Molte delle persone che ho incontrato erano partite perché scappavano da qualcosa. Nella loro vita c’era stato un momento di rottura che li aveva portati a fare un grosso cambiamento.
Nel mio caso è stato molto diverso. Il mio lavoro mi piaceva e avevo una relazione con una ragazza con cui stavo bene. Ma fin da quando avevo iniziato ad andare in barca era spuntato il desiderio di fare una traversata per provare qualcosa di diverso, di avventuroso. Questa idea mi è girata in testa per un paio d’anni ed è sempre cresciuta. Poi è arrivato il momento giusto, e ho pensato che se non l’avessi fatto, avrei potuto rimpiangerlo. E per me il rimpianto è una delle sensazioni peggiori.
Hai mollato quello che avevi con serenità?
Mi sono detto più volte: magari faccio una cazzata! Ma per carattere non sono uno zingaro che fa colpi di testa, quindi ho trasformato questa idea in un progetto che aveva un inizio e una fine. Mettere un limite temporale al viaggio mi ha permesso di godermi al massimo il tempo che mi ero concesso.

C’è qualcosa che, pensandoci ora, avresti fatto in modo diverso?
Sì, l’ultima parte del viaggio. Dopo la traversata atlantica ho passato prima quattro mesi ai Caraibi e poi sei mesi nel Pacifico. Quando sono arrivato in Australia mancava poco allo scadere del mio anno e per finire il viaggio in tempo ho deciso di imbarcarmi su una nave cargo. In quel mese e mezzo, detta tra noi, mi sono proprio rotto. Quindi l’esperienza in nave cargo non la rifarei.
Lavoro: hai chiesto un’aspettativa o ti sei licenziato?
Mi sono licenziato. Nel mio settore [finanza] le aspettative non sono ben viste. Inoltre ero in un momento in cui avrei potuto cambiare banca per cui lavorare. Il settore funzionava bene; mi sono detto che non avrei avuto problemi a trovare un altro posto di lavoro al rientro.
Poi hai ripreso da dove avevi lasciato?
È stato più complicato del previsto perché nel frattempo c’era stata una grossa crisi e quando sono tornato non sono riuscito a rientrare né al mio posto, né in altre banche. Ci ho messo un anno e reinserirmi. È stato meglio così, ma l’ho capito dopo.
Racconta…
Se io dovessi dire qual è stato l’anno più bello della mia vita non direi quello del viaggio ma quello successivo. Mi sono dedicato seriamente alla vela, anche alla parte tecnica: ho fatto tanti corsi con diverse scuole, sono diventato istruttore e ho trovato una dimensione di andare per mare che mi piace.
E poi ho scritto il libro. È stata una bella avventura perché avevo già un contratto con Feltrinelli, che mi aveva dato un anticipo e affiancato un editor. Per un periodo ho fatto la vita dello scrittore durante la settimana e nel week end andavo in barca. Ripercorrere tutto ciò che era successo l’anno precedente è stato come riviverlo per la seconda volta: una fase molto intensa e appagante.

E poi come sei tornato in ufficio?
Proprio dopo aver consegnato il libro, il mio vecchio capo mi chiamò per una posizione che si era aperta e gli ho detto di sì. Ci ho pensato un po’ e non so se ho fatto bene o male. Se avessi voluto cambiare la mia vita e fare un lavoro più legato alle mie passioni quello sarebbe stato il momento di dire no. Poi il mio senso pratico ha avuto il sopravvento. La vela rimane una parte importante della mia vita perché continuo a fare l’istruttore, però per ora è relegata al tempo libero.
Come ti sei abituato all’ufficio dopo mesi di cielo, vento e stelle?
Quell’anno di cuscinetto è stato fondamentale. Ho ripreso i ritmi della città e riallacciato i rapporti. Se fossi rientrato in ufficio direttamente sarebbe stato molto più difficile. Scatta quello che viene definito lo shock culturale. Quando vai verso un cambio programmato ti prepari. Mentre quando devi rientrare alla normalità e pensi di trovare quello che hai lasciato è difficile: tutto è rimasto uguale ma quello che è cambiato sei tu. Non noti più le cose belle, noti solo quelle brutte che prima accettavi e ora non più. Ci vuole un po’.
Per gli affetti è stato lo stesso? Hai preso un’aspettativa o ti sei licenziato?
Qui ho fatto un errore. Avevo un relazione con una ragazza; quando ci siamo messi insieme il mio viaggio era già in programma e lei mi appoggiava. Non c’era ragione per lasciarsi, siamo rimasti insieme e lei è venuta a trovarmi lungo il percorso. Ma il fatto che io vivessi questa avventura senza di lei probabilmente l’ha fatta soffrire molto e ha continuato a farlo anche dopo il rientro, perché c’erano gli amici che mi chiedevano di raccontare e il libro da scrivere. È finita pochi mesi dopo. Con il senno di poi sarebbe stato meglio prendersi una pausa e risentirsi dopo, chissà. Ora ho un’altra compagna, una bambina, e sono felice.

Hai una barca tua?
No e non ho intenzione di comprarla finché non ci vivrò sopra o farò vela di mestiere. Collaboro con una scuola e con un armatore, con cui organizzo lezioni e corsi.
Non hai mai il rimpianto di non aver accettato la proposta del primo ministro di Niue?
[Niue è un’isola sperduta nel Pacifico dove Alberto ha ricevuto un’interessante offerta per restare a vivere]
Niue corrisponde esattamente all’idea romantica che uno ha di quei luoghi. Però se uno pensa che lì deve viverci e costruire tutto dal nulla, il romanticismo passa. È uno dei posti più lontani al mondo. Non so se nel frattempo abbiano costruito l’aeroporto. Quando sono stato io per muoversi occorreva aspettare la nave cargo della posta per andare in Nuova Zelanda.
Se scappi da qualcosa, quell’angolo remoto del mondo diventa il paradiso. Ma se vuoi mantenere la tua vita e la tua cultura, questi posti devi lasciarli al viaggio, alla vacanza temporanea.

Prossimi progetti?
Nessuno di concreto però… Sarebbe bello rifare un altro viaggio del genere. A questo punto lo farei con una barca che comando io. Ho visto che ci sono delle società che noleggiano barche per sei mesi o un anno. Quindi si potrebbe fare anche senza investire nell’acquisto di una barca di proprietà. Noleggio, faccio il giro del mondo e poi torno, di nuovo.

Tutte le foto di questo articolo sono di Alberto che non ringrazierò mai abbastanza: non solo per la disponibilità a farsi intervistare, ma soprattutto per avermi aperto una finestra su un mondo intenso e spettacolare.