Qual è l’età giusta per andare in barca a vela? Dopo aver letto l’intervista a Carmela Scarvaglieri qualsiasi numero avrà poco senso.
Parlo al telefono con lei mentre è ormeggiata sotto i bastioni di Alghero. Si racconta ridendo, entusiasta e consapevole dell’effetto delle sue parole. Quello che per molti è fantasia, per lei è quotidianità. Ha compiuto da poco settant’anni e quando le chiedi “perché?” la sua risposta preferita è: “perché no?”
Carmela, da dove arriva questa tua passione per la vela?
Devo partire da un bel po’ di tempo fa, va bene?
Certo, racconta!
Io e il mio ex marito avevamo una casa di campagna a Venezia, poco distante dal mare. Quando a giugno finivano le scuole mi trasferivo lì con i nostri tre figli a trascorrere l’estate: al mattino andavamo in spiaggia, al pomeriggio stavamo in giardino. Questo finché erano piccoli. Mano a mano che sono cresciuti, sono diventati più indipendenti: iniziavano a invitare gli amici a casa e ad avere meno bisogno di me. Anzi la mia presenza era quasi inopportuna. Mi sono chiesta: ora cosa ci faccio tre mesi qui? Così ho iniziato a prendere lezioni di windsurf. Ecco, qui è iniziato il mio amore per il vento e la vela.

Dal windsurf alla vela?
Esatto. Quando ho imparato abbiamo preso una piccola barchetta a vela con la quale portavo fuori anche i miei figli; con il tempo siamo passati anche a una barca che ci permettesse di traversare fino alla ex Jugoslavia. Poi un’estate – grazie a degli amici di mio figlio – abbiamo avuto l’occasione di fare una crociera alle Isole Eolie. A mio marito l’esperienza non piacque, io invece mi innamorai. Al rientro le nostre strade si sono piano piano divise. Io uscivo quasi tutti i fine settimana con un circolo velico per fare l’integrazione alla prima patente, che avevo già. Ci vedevamo poco e la crisi si è accentuata fino a che ci siamo separati.
Le passioni uniscono e dividono…
Dopo di lui ho avuto un compagno velista, e insieme siamo partiti per un viaggio di un anno nel Mediterraneo: da Punta Ala [Toscana] abbiamo visitato tutte le isole che si incontrano andando verso sud. Poi il periplo della Sicilia e giù fino a Lampedusa, Linosa, Malta. Abbiamo raggiunto le Isole Ioniche greche, attraversato il Canale di Corinto e navigato dalle Cicladi fino in Turchia. Lì abbiamo invertito la rotta, passato il Peloponneso per rientrare lentamente a Punta Ala. Tanto eravamo in perfetta sintonia in barca, tanto non funzionavamo a terra.
Come mai? Non sono gli spazi piccoli che mettono a dura prova la coppia?
In barca rispettavo la gerarchia, non c’era bisogno di parlare, ci intendevamo con uno sguardo. Ma a casa lui continuava a fare il comandante e io non riuscivo a fare il secondo. Me ne sono andata, felice della mia libertà.

Una volta tornata a terra cos’hai fatto?
Ho aperto un B&B. Poi due e alla fine tre. Erano case di grande fascino e per anni le ho gestite con passione. Hanno anche scritto un libro su come è nato e cresciuto il mio lavoro. Con il tempo è diventato per me molto impegnativo e ho venduto l’attività.
C’era qualcos’altro che ti legava a terra?
A maggio 2018 ho fatto l’ultima pazzia: ho venduto l’ultima casa dove ho vissuto a Bergamo Alta. Era una bellissima casa del ‘500 ma, essendo tra le viuzze strette di un centro storico, non riceveva molta luce. Una mattina mi sono svegliata consapevole di non volere più una casa vera e propria. Avevo già un camper e decisi di prendere una barca tutta mia per vivere da nomade.
Cioè non hai più la residenza da nessuna parte?
Ho lottato strenuamente con il comune di Bergamo fino a ottenere la residenza ufficiale in camper.
Non c’è nulla che ti manca della vita di casa?
No nulla, nemmeno il bagno. Il mio camper è grande e io ci vivo da sola. Ho l’acqua calda, i pannelli solari, sono autonoma. In Italia non uso nemmeno i campeggi. Con la barca non è ancora così, ma posso usare l’elettricità nei marina – quello di Sant’Elmo è eccezionale.

Che barca hai?
La barca che ho ora è un modello Westerly 32, di 10 metri con due alberi. Volevo proprio quel tipo di barca, me ne ero ero innamorata anni fa. Ne ho cercata una da ristrutturare e l’ho trovata l’anno scorso ad Alghero.
La barca si chiama Stray [in inglese randagio, vagabondo]. Lo hai dato tu o è una splendida coincidenza?
Non si cambia il nome alle barche! Si dice che porti sfortuna.
Navighi in solitaria?
Sì, navigo anche in solitaria, ma devo dire che ho una lunga lista di amici che vengono a trovarmi. Ora che ho la mia barca sistemata me la godo più che posso: vivo in barca sei mesi d’estate, poi chiudo, prendo il mio camper, torno a Bergamo a vedere i miei cinque nipoti e poi parto per sei mesi in Marocco.
Anche in Africa vai da sola?
Sì, è già in quarto anno che vado in Africa da sola. In Italia non ho mai avuto nessun problema. In Marocco mi guardano in modo un po’ strano. L’anno scorso ho fatto fatica alla frontiera perché non ero accompagnata da un marito. Ora mi sono attrezzata con una fede al dito e la mostro dicendo che il marito mi sta seguendo in moto.
Quanti anni hai?
Ho compiuto 70 anni a maggio e ho fatto una grande festa a Sant’Elmo. Sono venuti i miei figli e i miei amici da tutta Italia.
I figli commentano le tue scelte?
I figli dicono: se tu sei felice siamo felici anche noi, fai quello che ti senti. Vengono a trovarmi, navighiamo insieme. Uno di loro è anche appassionato di barche, ma dice che non ne comprerà mai una perché è un manager e fa i conti: dice che conviene noleggiarla. Io invece ho bisogno delle mia casetta sul mare.

E gli amici invece cosa dicono?
Alcuni si chiedono come faccio a non avere una casa, alla mia età. So di non essere più giovanissima, ma sono serena. Se un giorno ne avrò bisogno, tornerò a vivere in una casa. Ora, finché la medicina mi permette di convivere con le mie patologie, resto nomade. Ho fatto una scelta di vita e ne sono felice, finché mi viene naturale starò così.
Si vede che camper e barca per te non sono sistemazioni provvisorie.
Ho tutte le comodità e in più la libertà, perché non dovrei farlo? Hai visto le foto del mio camper? Ho le posate d’argento e apparecchio con i piatti in porcellana dell’800. Mi tratto bene. Uso bicchieri di vetro soffiato. Dov’è scritto che il camper non può essere vissuto anche così? Tanti mi dicono che sono matta, ma io rispondo: perché no? Non ho un marito che brontola, sono autonoma, perché non dovrei farlo? Oppure dicono: non è possibile che tu le tenga davvero quelle tazze. Come no? Sono là, guarda, come fai a dire che non è possibile.

Sia in barca che in camper ho un lampadario con le candele, sai che atmosfera a cena! Il camper e la barca sono la mia casa e mi circondo di cose belle. Poi, se devo partire, mi basta un minuto: stacco il lampadario, lo chiudo assieme a un cuscino e parto. Pensa che, anche quando mi fermo alla fonda, io tiro fuori una poltroncina e la metto a prua, per fare colazione cambiando punto di vista. Metto fiori freschi e la tappezzeria è color turchese. Gioco. Consapevole dei miei limiti, mi piace giocare con la vita.
Stray, la barca di Carmela Il camper di Carmela
Le foto di questo articolo sono di Carmela, che ringrazio tantissimo per l’entusiasmo che riesce a trasmettere, anche al telefono.