Non credo che Roberto Soldatini si renda conto della semplicità con cui racconta le sue avventure. A sentirlo pare che venga tutto naturale, facile, logico. Dalla musica, alla vita per mare, alla scrittura, sembra che sia guidato da un’armonia profonda che lega gli eventi in maniera inevitabile.
Direttore d’orchestra, navigatore, scrittore: difficile scegliere da dove iniziare con le domande. La passione per la vela in che momento arriva?
Ho iniziato ad andare a vela a 50 anni, quando ho deciso di cambiare vita, vendere casa e trasferirmi in barca. Avevo sempre vissuto da montanaro, ma avevo voglia di cambiare e il mare era un sogno che coltivavo da tempo.
Come hai pensato di associare il cambio vita alla barca se non l’avevi mai provata?
Nella mitologia Momo dice a Minerva che la sua bellissima residenza ha un solo difetto: non è mobile. Anch’io vedevo nelle case lo stesso inconveniente. Volendo trovare un’alternativa le possibilità erano il camper o la barca. Visto l’amore per il mare e il diverso impatto ambientale, per me è stato naturale scegliere la barca.
Nel tuo sito descrivi il cambio di vita come il momento in cui ti sei liberato dei sassi. Che cos’erano per te questi sassi?
I sassi sono le cose che ci appesantiscono e ingombrano la vita, le case, le frenesie della terraferma. Spesso ci facciamo prendere da una routine che ci impedisce di crescere e di liberarci dalle stupidità della vita. Ho scelto di vivere in barca anche per essere costretto a tenere con me solo quello che mi è utile senza accumulare macigni superflui.
Sembra un passaggio logico, ma per molti non lo è.
Vero, infatti molte persone, invece che incoraggiarmi, obiettavano che se non mi fossi trovato bene non avrei avuto un ripiego. La trovo una visione limitata perché, se non si osa e non si rischia, come si può mettere in atto un cambiamento o realizzare un sogno? Nel mio caso poi non ci vedevo neanche un grande rischio: se non fosse andata bene, come ho venduto la casa per comprare la barca, avrei potuto fare l’inverso e tornare a terra.

Come hai scelto la tua barca?
Facendo dei compromessi. Mi serviva una barca abitabile, perché era anche la mia casa; sicura, per poter gestire da solo situazioni anche impegnative; marina, per navigare tanti mesi l’anno. È stata una scelta difficile, perché sul mercato di solito una caratteristica predomina sull’altra, poi ho trovato Denecia – un Moody 44 – e mi è sembrata un buon compromesso: ha buone prestazioni marine pur avendo degli spazi interni generosi.
E alla fine come hai imparato ad andare a vela?
Ho iniziato con il corso per la patente nautica, ma dal punto di vista pratico non serve a molto. Non insegnano le due cose fondamentali per chi va in barca: dare ancora e far funzionare il bagno. Ho imparato sul campo.
Molto prima della barca nella tua vita c’era la musica.
La musica ha riempito la mia vita dall’età di sei anni fino ad ora. Da bambino assistevo ai concerti all’aperto di mio padre, prima tromba dell’orchestra di Santa Cecilia. Stavo sulle panche della Basilica di Massenzio, con la testa sulle gambe di mia madre, ed ero affascinato dalla figura del direttore d’orchestra. Ricordo nitidamente il momento in cui, sulle note della Sinfonia del nuovo mondo di Dvořák, decisi che era il mestiere che volevo fare da grande.

Con quella consapevolezza andai dai colleghi di mio padre per ascoltare tutti gli strumenti e scegliere quale studiare. Il violoncello mi conquistò e iniziai a farmi dare delle lezioni di nascosto, perché mio padre non voleva che mi dedicassi alla musica. I miei fratelli più grandi avevano iniziato a suonare per fargli piacere. Quando mio padre capì che lo facevano per lui e non per scelta, diede per scontato che fosse lo stesso anche per me e per un periodo me lo proibì.
Quando hai pensato che l’abbinata musica e barca fosse una buona idea?
Nel periodo in cui mi trasferii in barca il desiderio di cambiare vita era così forte che pensavo avrei dato un taglio netto anche con la musica. Ero deluso dall’ambiente ed era venuto a mancare l’entusiasmo necessario per continuare. Con il tempo, invece, il mare ha dato nuova linfa alla mia passione, ispirando la mia interpretazione, modificandola e rallentandone i tempi… come del resto ha rallentato il ritmo di tutta la mia vita. Da questa unione è nata la proposta di un nuovo tipo di concerto che ho chiamato La musica del mare (come il mio primo libro) dove suono e recito testi della letteratura di mare.

Qual è stata la prima navigazione impegnativa che hai deciso di affrontare?
La prima lunga rotta che ho intrapreso è stata da Marsiglia a Istanbul. Durante questa navigazione mi sono anche fratturato un piede cadendo dal motorino in un’esplorazione a terra. Da Atene sono tornato con la gamba ingessata fino a Fiumicino.
Un’altra lunga navigazione è stata quella del 2014. Ero in Egeo, sono andato a Trieste per partecipare alla Barcolana e poi fino a Napoli per Natale. È stato il viaggio in cui mi sono troncato un dito del piede con un gavone. Mi sono fermato ad Atene per farmelo riattaccare.
Lo racconti come se non fosse nulla di speciale…
Per mare assume tutto un aspetto più epico e avventuroso, ma gli incidenti capitano anche nella vita a terra.

Ti ho conosciuto sui social network leggendo del tuo periodo passato a Venezia durante la Pandemia. Com’è andata?
Ho condiviso questa esperienza con il mio compagno Michele, che vive in barca con me. Abbiamo avuto l’occasione di viaggiare per mare nelle condizioni che più assomigliano a quelle dei viandanti del passato. Nei vari mesi abbiamo potuto mettere a confronto i diversi modi di reagire alla pandemia di molti paesi del Mediterraneo e la nostra testimonianza è raccolta nel libro Denecia Approdi nella pandemia.
Come hai potuto spostarti in quel periodo?
Una nota del MIT (Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) specificava che, chi aveva la residenza in barca, poteva navigare. Forti di questo chiarimento abbiamo deciso di mollare gli ormeggi e partire. Ma in Italia le istituzioni non dialogano tra di loro, ancora meno in un momento caotico come quello della pandemia. La capitaneria di porto non voleva riconoscere questa autorizzazione e la partenza è stata quasi una fuga. Per fortuna negli altri paesi non abbiamo avuto nessun problema; a fine navigazione siamo rientrati in Italia e abbiamo deciso di trasferirci a Venezia. Abbiamo vissuto una Venezia come non la si vedeva dall’epoca della fondazione, priva di turisti e frequentata solo da veneziani.

Il prossimo libro in uscita infatti parla proprio di Venezia.
Il 18 maggio 2022 – giorno del mio 62esimo compleanno – uscirà il libro Ca’ Denecia. Vivere in barca a Venezia. Siamo stati i primi nella storia a ottenere la residenza in barca a Venezia e ho pensato che Denecia si meritasse l’appellativo di Ca’, come tutte le residenze lussuose della città.
Con la musica ora dove lavori?
All’inizio pensavo di restare a Venezia, ma il freddo e l’umidità dell’inverno mi hanno fatto desistere. Ho chiesto e ottenuto il trasferimento al conservatorio di Bari: l’inverno è mite, si mangia bene, la gente è socievole e soprattutto sono più vicino alla Grecia.
Nei tuoi progetti c’è l’Oceano?
Certo, ma per la traversata devo aspettare la pensione. So che molti lo fanno a tappe: nel tempo libero spostano la barca e poi tornano a lavorare, ma nel mio caso la barca è anche la mia casa, quando partirò sarà definitivo.
Il tuo compagno era già marinaio o lo è diventato con te?
Da bambino andava per mare con il padre con una piccola barca a motore, ma non era mai stato su una barca a vela, si è appassionato a questa avventura con me. Dopo poche navigazioni era già ambientato benissimo. In quanto ingegnere cura moltissimo la barca e Denecia è molto contenta che lui sia a bordo.

Anche la sua è una storia di cambio di vita.
Michele è ingegnere ma anche un artista, ha sempre avuto la passione della fotografia e della pittura. È lui l’autore degli acquerelli con acqua di mare che illustrano le copertine dei miei ultimi libri.
Quando ci siamo conosciuti la vita che conduceva gli stava stretta. Ha comprato il mio primo libro il giorno stesso in cui ci siamo conosciuti. Poco dopo si è licenziato dallo studio di architettura dove lavorava e ora ha lasciato la professione per insegnare a scuola, in modo da avere più tempo per navigare insieme. Quel libro è di fatto un inno alla libertà e non è l’unica persona che conosco che ha messo in atto un cambiamento dopo averlo letto.