Ho amato la vela fin da bambino. Costruivo barche giocattolo con i lego o inventavo vele improvvisate con i sacchetti della spazzatura.
È un sabato di dicembre e chiacchiero con Giampietro alla fine di un’uscita in barca nella laguna di Venezia. Poco vento e tanto freddo. Davanti a un caffè, con il viso arrossato e le mani congelate, gli chiedo di raccontarmi come tutto è iniziato.
A vederti in barca sembra che tu non abbia fatto altro per tutta la vita. Invece scopro che non è così. Cosa facevi prima?
Facevo il geometra: ufficio, giacca e cravatta, lavoravo nell’edilizia alberghiera. Avevo una vita lavorativa piuttosto tranquilla. Le mie passioni erano relegate al tempo libero: la vela era un sogno molto in fondo nel cassetto.
Quando hai capito che quella vita non faceva per te?
A 34 anni ho preso un periodo di 6 mesi di pausa dal lavoro. Ho usato quel tempo non solo per dedicarmi alla vela ma anche per un mese e mezzo di volontariato in un orfanotrofio in Africa.
Avevo una casa, una compagna, dei soldi che mi permettevano una vita tranquilla, ma sono tornato dall’Africa chiedendomi se stessi vivendo come volevo. Quell’esperienza mi ha fatto mettere in discussione come stavo usando il mio tempo e se valesse davvero la pena aspettare un altro momento per realizzare i miei sogni.
Cosa ti hanno detto parenti e amici?
Pensavano che fossi matto e forse avevano ragione, ma dovevo provarci. Per i miei genitori – operai in affitto – è stata dura quando ho venduto la mia unica casa, che avevo finito di pagare, per comprare la barca. Poi hanno capito che era il mio modo di essere felice e riuscivo a farlo, guadagnando meno, ma senza chiedere niente a nessuno.
Avevi un piano di riserva? Come ti eri organizzato per avviare l’attività?
Non avevo piani di riserva, ma mi sono mosso per gradi. All’inizio mi sono messo a fare il carpentiere. Progettare, realizzare e montare piccole strutture in legno mi permetteva di programmare lavori brevi che mi davano lo stretto necessario per passare il resto del tempo in barca.
Andavi già in barca? Dove e come hai imparato?
Fino a 30 anni non ero mai andato in barca. Non sono figlio di velisti ma, inspiegabilmente, ho amato la vela fin da bambino. Costruivo barche giocattolo con i lego, inventavo vele improvvisate con i sacchetti della spazzatura. In famiglia c’erano i soldi per i lego, ma non per la barca o le lezioni di vela. Quando i miei risparmi me l’hanno permesso – a 30 anni – ho messo piede su una barca per la prima volta. Il problema è che non sono più sceso.
Quindi: un po’ carpentiere un po’ marinaio. Poi?
Il passo successivo è stato vendere la casa. Con quei soldi, nel 2004, ho comprato Madù la mia prima barca.

L’ho attrezzata per navigare fin da subito in solitario perché amo stare in mare, anche d’inverno. Partivo, andavo in Croazia, stavo via una settimana e poi tornavo. Quello che poteva sembrare un peregrinare senza meta, era il mio modo di stare bene.
Quando sono uscito per la prima volta da solo dal porto di Caorle con la mia nuova barca da 11 metri, sono scoppiato in lacrime: avevo realizzato il mio sogno. Questo per me era già un traguardo e mi bastava.
Come sei diventato istruttore?
Ho avuto l’occasione di essere nel posto giusto al momento giusto. Una società di charter e noleggio barche cercava istruttori e skipper. Vedendomi sempre al porto, il proprietario mi chiese se volessi lavorare per loro.
Con il tempo diventai amico del titolare e, quando vendette l’azienda a una società tedesca che non era interessata a portarne avanti il nome, lo regalò a me, assieme a qualche contatto. Così ora i Pionieri del mare è una scuola vela per chi vuole imparare ad andare per mare percorrendo miglia.
Intuisco che la prima compagna non ti ha seguito. Chi è riuscito a starti a fianco?
Durante un corso d’altura ho conosciuto quella che poi è diventata mia moglie. Se oggi riesco a sostenere le mie scelte fino in fondo è anche perché ho trovato una compagna che condivide la mia passione.

Quando la vita ti pone davanti a bivi come: cambiare barca o comprare casa, per me è stato importante avere a fianco qualcuno che rispondesse “cambiamo barca”.
[Giampietro si interrompe per un attimo. Poi sorride e riprende.]
Anche la storia di come ho conosciuto Susanna meriterebbe di essere raccontata. La teniamo per la prossima volta.
[Io la prendo come una promessa.]
C’è stato un momento in cui gli imprevisti ti hanno fatto pensare di aver sbagliato?
Sì, ma ho tenuto duro. Importantissimo è stato l’appoggio di mia moglie che ha condiviso la una scelta di vita che non è sempre economicamente vantaggiosa.
È tutto oro quel che luccica? Cioè fare quello che ami per lavoro non rischia di guastare la passione?
Quando arriva l’F24 da pagare vacillo sempre. Anche le riparazioni e la manutenzione sono delle belle batoste. Ma è come quando trovi maltempo in mare: torni al porto giurando di non volerne più sapere e invece il giorno dopo molli di nuovo gli ormeggi.
Se devi programmare una vacanza dal lavoro cosa fai? Vai in barca o in montagna?
Barca, sempre e comunque. Vacanza, viaggio di nozze, pause, fine settimana. Sempre in barca.
Che evoluzione immagini per il tuo lavoro?
Barche nuove non ne compro più. Ora ho Don’t forget to Smile, una barca che mi permette di fare quello che mi piace: regate lunghe e vela d’altura. Ho scoperto che la mia proposta di scuola vela è un’alternativa apprezzata da chi non ama le lezioni classiche dei club.
Non ho intenzione di aumentare il numero di clienti gestendo più barche, perché so già che mi toglie libertà e voglia di andare in barca. Se avessi voluto fare soldi avrei continuato a fare il geometra. Ho la fortuna di fare il lavoro che mi piace: mi alzo la mattina e vado in barca. Questo ripaga di tutti i compromessi che devo fare.

Le foto di questo articolo sono di Giampietro, che ringrazio per avermi risposto con disponibilità e simpatia.