Da quasi 45 anni Giuseppe nel tempo libero costruisce barche in legno. Ha coinvolto nella sua passione anche il figlio Luigi che, oltre a costruirle, ora le progetta. Tra un mese sarà pronta la quarta barca, costruita con le loro mani, asse su asse, vite su vite.
Giuseppe, da dove arriva questa passione per le barche?
Io faccio 85 anni a luglio e mi ricordo che quando avevo 10 anni partivo da località Plaia – una zona periferica di Catania – per andare al cinema Olivia a vedere film d’avventura: mi piacevano le storie con le navi, con i pirati. I registi ci inserivano sempre almeno una tempesta e io mi beavo di quella furia, di gente che tirava cime, finiva a mare. E dopo quei viaggi con la fantasia, la sera me ne tornavo a casa a piedi.
Quando hai costruito la prima barca?
Avevo 40 anni, è stata un’impresa. Io sono perito meccanico e lavoravo in un ufficio di prevenzione infortuni. Con un collega ingegnere andammo a fare un sopralluogo e vedemmo in un angolino una barca incompleta e chiedemmo informazioni: era di un farmacista che aveva iniziato, ma poi l’aveva abbandonata e non la curava più. Il mio collega mi disse: “E noi che siamo dei tecnici? Non ne vogliamo fare una noi?” Così comprammo un progetto per un 7 metri e ci mettemmo all’opera. Era il 1975, e la chiamammo Anda, unendo le prime sillabe dei nomi delle nostre primogenite Angela e Daniela.

Quando si aggiunse anche Luigi alla “forza lavoro”?
Dopo Anda passammo al progetto di un 9 metri, Pilgrim. Luigi aveva 18 anni e ne sapeva già qualcosa di navigazione. Anche in questo caso comprammo un progetto, ma Luigi lo modificò in molti punti. Fino a che ci venne voglia di passare a un 12 metri che progettò interamente lui: Mayda è proprio “figlia” di Luigi.
Quanto ci si mette a costruire una barca dedicandole solo il tempo libero?
Per noi è importante dedicarci tempo con costanza, magari poco, ma tutti i giorni. Esco dall’ufficio e vado a lavorare alla barca almeno un’ora. Per Mayda ci abbiamo messo 5 anni e mezzo, ma era un 12 metri. Ora stiamo finendo una barchetta sportiva di 7 metri – un mini d’altura – che ci ha impegnato per circa 3 anni.

Giuseppe, com’è stato navigare con la prima barca auto costruita?
La prima vera navigazione con Anda è stata durante la regata Siracusa-Malta. Un collega che faceva collaudi mi spinse a iscriverci, io non avevo mai fatto regate, mi immaginavo che avremmo sempre avuto qualcuno dei partecipanti vicino a dare una mano se ci fossero stati problemi. Invece, poche ore dopo la partenza, le barche avevano preso tutte rotte diverse e ci trovammo a navigare da soli. Arrivammo a Malta di notte, c’era brutto tempo e una forte risacca.
Sapevamo che il porto era circa in corrispondenza di un’antenna della televisione, ma c’era mare troppo grosso e decidemmo di stare lontano dalla costa perché se avessimo sbagliato l’entrata in porto saremmo andati sugli scogli. Facemmo bordi avanti e indietro fino alle prime luci del giorno, poi vedemmo un motoscafo uscire e riconoscemmo l’ingresso. Se non fosse stato per il tempo di attesa fuori dal porto non saremmo stati messi male come tempi.

Luigi, tu che lavoro fai?
Sono laureato in fisica e lavoro in una ditta che fa componenti elettronici.
Non ti attirava una carriera nel settore navale?
Mio padre mi sconsigliò il settore nautico perché il mercato non è stabile, i cantieri aprono e chiudono continuamente. E ha avuto ragione. Comunque il mio piccolo sito amatoriale dedicato a Progetto Barca è online, studio progettazione navale da quando ero piccolo, per ora non è un lavoro, ma un domani chissà.

Anche il tuo tempo libero è dedicato alla costruzione di barche?
Sì, ultimamente quasi troppo, andiamo poco in acqua. Dobbiamo recuperare un po’ di navigazione, mi manca. Quando riesco con la famiglia navighiamo verso la Grecia. Papà, le raccontiamo quella dell’alalunga?
Cos’è la storia dell’alalunga?
Stavamo andando in Grecia con Pilgrim – io, mio padre e un amico – quando passammo per una zona ricca di pesci: tonnetti e alelunghe che saltavano davanti alla barca. Mio padre buttò una lenza per pescare, qualcosa abboccò, ma era così grosso che drizzò l’amo e non prendemmo nulla. Nella rotta di rientro ci organizzammo con un amo più grosso e, nella stessa zona, prendemmo una bella alalunga.
Poco dopo il vento iniziò a rinfrescare, il mare a ingrossarsi e da sottocoperta arrivò la voce del nostro amico: “Abbiamo pescato il pesce caro a Nettuno e ora si sta vendicando. Lo sapevo non dovevamo prendere quell’alalunga, la preferita di Nettuno.” Infatti lui quel pesce non volle mangiarlo. Ci trovammo presto nel mare peggiore che io avessi visto: in mezzo allo Ionio, 40 nodi di vento, onde da 6 metri. Pilgrim resse benissimo, ma io non avevo mai trovato un mare così e devo ammettere che ebbi paura. Oggi il meteo è molto più attendibile e queste cose si evitano.
Giuseppe: Per un periodo ci mettemmo alla cappa secca, cioè abbassato tutte le vele, regolato il timone per non perdere la direzione e tutti dentro. Quando prendeva un colpo di mare la barca sbandava e accennava quasi a capovolgersi e allora Luigi mi diceva: “Papà, ma la colla l’hai messa bene vero?”
Luigi: Quando poi ci siamo messi con tormentina e tre mani di terzaroli la barca saliva e scendeva su quelle onde ripide senza sentirle.

Poi le barche che costruite le vendete?
La normativa dice che possiamo vendere una nostra barca auto costruita dopo 5 anni, come barca di seconda mano. Così noi la usiamo, la testiamo e quando vogliamo passare al progetto successivo la vendiamo. Non ci guadagniamo, ma recuperiamo il costo dei materiali per continuare a lavorare. Se non affonda nei primi 5 anni, vuol dire che è fatta bene. Quando navighiamo pensiamo già alle migliorie che faremo nella prossima barca.
Ho conosciuto una marinaia contenta di navigare con una vostra barca: Marina Foti, che ebbe una disavventura in Atlantico, ma su un’altra barca! [Qui c’è l’intervista a Marina]
Spesso abbiamo messo su equipaggi e navigato con persone che poi si sono appassionate, e sono diventate anche istruttori FIV. Mi vanto spesso dicendo che la mia barca sforna grandi capitani. Marina ha comprato Pilgrim: fa regate, ha messo su un equipaggio femminile, si diverte e noi diciamo scherzando che “Marina ci è venuta veramente bene”.

Dopo tutta la fatica e la dedizione, non vi dispiace separarvi dai vostri progetti?
Quello che ripaga di tutto il lavoro è il primo giorno che metti la barca in mare e ci navighi. Queste barche le abbiamo varate sempre noi due. Cominciamo a guardare la scia, ci guardiamo in faccia e ridiamo soli soli con uno sguardo che dice “Cammina, cammina!”

Tutte le foto di questo articolo sono di Luigi e Giuseppe, che ringrazio tanto per la disponibilità e per essersi fidati di raccontare la loro storia a una marinaia da tastiera.