La nuova avventura di Andrea è appena iniziata: quando lo chiamo si trova a Vieste. Salpato da Venezia da poco più di una settimana, ha davanti una lunga e lenta esplorazione del Mediterraneo in barca a vela. Un cambio di vita ispirato dalla pandemia al motto di: fai il meglio che puoi, quando poi.
Andrea, prima delle domande sul futuro, puoi raccontare qual è il tuo legame con in mare?
Sono genovese e non scherzo quando dico che sono stato concepito in mare. Ho passato la maggior parte dei miei primi anni di vita in navigazione. Mio padre era comandante; mia madre ha tre fratelli maschi e due cugini, tutti comandanti; anche andando indietro di generazioni gli avi sono gente di mare. Direi che ce l’ho nel DNA.
Cosa facevi imbarcato fin da piccolo?
Mio padre era comandante dei Costa e mia mamma lo ha sempre seguito. Finché non sono andato a scuola eravamo un pacchetto unico che si spostava sulle navi. Quando fu tempo di andare alle elementari, mia madre – d’accordo con la maestra – mi fece lezione in viaggio, mentre alle medie feci sempre il massimo delle assenze consentite. In nave passavo il tempo tra turni di guardia con gli ufficiali, giri in cucina e in sala macchine.

Com’è la vita di mare vista da un bambino?
Da piccolo era sicuramente divertente, da più grande forse ho patito non poter legare con i compagni di scuola o non poter praticare uno sport di squadra. Però condividevo questa situazione con gli altri figli dei comandanti o direttori di macchina che si imbarcavano con la famiglia. Tra i miei più cari amici, ancora oggi, ci sono i ragazzi che ho conosciuto navigando da piccolo.
Come sei arrivato alla vela?
Quando non ero con i miei genitori, passavo il tempo sulla lancetta del nonno, a Vernazza. Cercare una baia, dare ancora, fare un ormeggio è sempre stato il mio quotidiano, però sempre a remi o motore. Non avevo mai provato la vela. L’ho scoperta a 22 anni per merito di un amico che mi invitò a fare con lui un corso patente alla Lega Navale di Sestri Ponente, con il maestro Mario Mainelli. Era un modo di andare a vela completamente diverso da ora. Dopo quella esperienza mi sono innamorato e ho perso interesse per qualsiasi altro hobby. Ogni momento libero che avevo lo dedicavo alla barca.

Cosa c’era di così diverso?
Quando ho iniziato ad andare in barca non c’erano satellitari o telefoni cellulari, si navigava senza elettronica. Ora è più semplice e forse più sicuro, ma certe emozioni non si provano più. Ricordo benissimo la sensazione della mia prima traversata dalla Corsica a Genova: arrivai sotto la Lanterna dopo 18 ore di trepidazione. Ora nessuno naviga più con quell’attesa di vedere terra, perché ogni 5 minuti puoi dare un’occhiata al cartografico e sapere dove sei e quanto manca.
Crescendo come hai conciliato vita di mare e di terra?
Sono stato fortunato. Per un periodo ho vissuto la vela in maniera totalizzante, con dei soci che sono ancora amici, abbiamo percorso insieme tante miglia. Nel ‘91 mi sono sposato con una ragazza che amava la vela e abbiamo continuato a navigare insieme e portato i figli in barca fin dai primi mesi. Non ho vissuto la vita a terra come una privazione della vela, perché sono sempre riuscito a farle convivere.
Come sei finito da Genova a Como?
Nel ‘98 mi sono spostato a Como per lavoro. Questo trasferimento mi ha allontanato dal mare e, per qualche anno, non sono più andato in barca. Ho capito più tardi che si può navigare anche sul lago.

Che differenze hai trovato tra la vela di mare e la vela di lago?
Sono molto diverse. Ammetto che all’inizio ho ignorato la vela al lago perché mi sembrava che non ne valesse la pena. Poi invece ho provato ed è divertentissimo. È vero, non ha gli orizzonti, i profumi, gli spazi del mare, però è molto formativa. Il vento cambia molte volte nella stessa giornata e si naviga su barche piccole che rispondono in fretta, è un’ottima palestra. Il lago di Como ha anche dei panorami affascinanti, quindi merita. Per un periodo ho avuto anche una mia barca al lago e quando andavo in vacanza noleggiavo.
Ora che barca hai?
È un Bavaria 46 H del 1997, si chiama Allegria. L’ho comprata a Venezia e, non avendo subito il tempo per portarla a Genova, l’ho tenuta lì finendo per appassionarmi alla Laguna e alla Croazia. Non avevo ancora l’idea di vivere in barca, ma poi la pandemia ha accelerato i processi.

Che cosa è scattato in te durante il lockdown?
Come per tanti appassionati di vela, vivere in barca è un sogno nel cassetto. Quante volte ho sentito (e pensato): quando andrò in pensione mi dedicherò alla barca. Leggevo i libri dei grandi navigatori, coltivavo un grande sogno romantico ma poi restavo attaccato alla quotidianità.
Il primo lockdown è stato per me l’occasione per staccare. Fino al giorno prima ero sempre di corsa tra lavoro, casa, barca, figli. Da un momento all’altro ho dovuto fermarmi e temevo che mi sarei annoiato a morte. Invece la vela ha occupato tutti i miei pensieri: ho letto libri, abbozzato progetti, mi sono cimentato in video conferenze. Mi sono accorto che la vela mi dava così tanta soddisfazione e gioia da non voler più tornare alle abitudini di prima.
Anche se ho amato molti aspetti della mia vita fino a quel momento, era arrivata l’ora di cambiare. Mi sono licenziato e ho deciso di trasferirmi in barca, con l’idea di partire verso sud e navigare con calma nella parte di Mediterraneo che conosco meno.

Come rendi sostenibile questa scelta?
Dal punto di vista economico guadagnavo bene e decidere di licenziarmi ha drasticamente cambiato le mie entrate. Ho 58 anni, non ho ancora l’età per la pensione, forse arriverà, ma ho qualcosa da parte e una casa di proprietà che magari venderò.
E poi continuerò a portare persone in barca, come già faccio. Il mio non sarà mai un charter classico, perché non mi interessa avere in barca qualcuno che ha comprato “un biglietto”. Mi piace però condividere navigazione e competenze con delle persone che contribuiscono.
In questa scelta la famiglia che ruolo ha?
Sono separato da mia moglie da molti anni e ho quattro figli ormai tutti maggiorenni che hanno la loro vita, non devo più essere al loro fianco tutti i giorni. Sono anche nonno. Mio padre è morto poco prima di maturare questa decisione. Era una persona verso la quale mi sentivo in dovere di essere presente perché aveva bisogno di assistenza, non avrei potuto lasciarlo a cuor leggero. Mia madre è in salute e autonoma. Credo che questo possa essere un buon momento per pensare a me stesso.

Con chi navighi ora?
Condivido questa avventura con Nikolett. Ci siamo conosciuti l’anno scorso: mi aveva suonato il clacson a una rotonda perché non avevo messo la freccia. Io non sono un tipo litigioso e mi sono scusato offrendole un caffè. Abbiamo iniziato a frequentarci, si è appassionata alla vela e ha deciso di partire con me. In barca con noi c’è anche Winch, un meticcio siciliano che si è adattato alla vita di mare fin dal primo giorno.

Quali tappe immagini per i prossimi anni di vita in barca?
Vorrei esplorare quella parte di Mediterraneo che non conosco: Grecia, Turchia e se sarà possibile anche qualche stato del nord Africa. Ho già fatto l’Atlantico tre volte, non ho urgenza di rifarlo, ma se proprio devo guardare avanti mi piacerebbe navigare lungo le coste del Sud America, e poi mettere la prua verso i Mari del Sud. Ma l’oceano non è un obiettivo. Per ora quello che voglio è stare in barca, stare in buona compagnia, ospitare gli amici. Le amicizie che nascono per mare lasciano un legame molto profondo. Anche la mia decisione di partire è stata involontariamente influenzata da un amico.
In che modo?
Sandro Zingoni abitava all’Elba, ci siamo conosciuti su Facebook e poi ci siamo frequentati anche per mare. Era un grande marinaio che è mancato poco dopo essere andato in pensione. Queste cose ti fanno riflettere, ti spingono a fare il meglio che puoi quando puoi. Non ho finito il mio percorso lavorativo, ma non voglio più aspettare.

Che cos’è il progetto Vela Sottosopra?
È il nome che ho dato al sito in cui ogni tanto scrivo qualche appunto di navigazione e pubblico le disponibilità di imbarco. Il nome è nato dai commenti di chi naviga con me. Sono felice che mi venga riconosciuto di fare vela sia sopra che sotto coperta, unendo la tecnica dell’andare per mare alla condivisione di vita e di esperienze di ciascun membro dell’equipaggio.
Ci sono tanti modi di andare per mare e sono tutti validi. Mi piace pensare che il mio nasca dalle anime di mare che hanno fatto la storia della marineria italiana. Sono cresciuto in quell’ambiente e porto con me lo spirito dell’esperienza fatta da bambino. Se posso condividerla, ne sono felice.
La foto di copertina è stata scattata da Vanessa Vaio. Le foto di questo articolo sono di Andrea Benzi, che ringrazio per la lunga telefonata che mi ha regalato. Chi vuole seguirlo nel suo viaggio può farlo sulla sua pagina Facebook o profilo Instagram.